7.12.2010
Si rincorrevano
parti di cuore
rimaste perse nello spazio e nel tempo,
senza che s'accorgesse di averle smarrite,
dimentica di come avessero fatto parte di lei
la gioia, il sorriso, la pazzia.
Mentre un tempo
selvaggio e crudele
le lambiva le caviglie,
impossessandosi pian piano
di quel corpo che non aveva forze per sfuggire,
correre, scappare;
sedette.
Odiare la sfiniva:
esanime tra sensi di colpa rimpianti rancore
sentiva le mani riempirsi di sangue,
le narici impregnarsi di quell'odore
forte, acre
che esisteva solo nella sua testa
ma la rendeva estasiata,
il desiderio potente che quell'immagine divenisse reale
sotto i suoi occhi stanchi
delusi
macchiati.
Sapeva di non poterlo fare,
nella sua piena lucidità
si accorgeva che la realtà era
e doveva restare diversa,
eppure quella sensazione di potere,
di dominio,
compensava il forte senso di inutilità e il dolore che le scavavano il petto...
Si alzò,si diresse alla cassaforte,
l'aprì,
ne tirò fuori una pistola, delle pallottole
riempì le tasche ed uscì,
silenziosa.
Raggiunse il posto dove andava a sfogarsi,
la sagoma umana appesa all'albero,
caricò la pistola,
l'adrenalina scorreva prepotente nelle vene
a sentire il peso tra le mani,
prese la mira e sparò.
Vuotò il caricatore
una due tre volte finchè si fu calmata,
si accasciò a terra
in quell'incontro catartico
di testa e cuore,
pianse.
Interiormente,
sapeva che quello era il suo modo,
folle e animalesco,
di chiudere un capitolo della sua vita,
una storia che da sogno
era diventato incubo con il passare del tempo
e mentre le lacrime scendevano
nella consapevolezza che quella sagoma
aveva le fattezze ben definite
di chi tanto aveva amato
si alzò
avvicinandosi all'albero
soddisfatta di aver colpito
cuore
testa
collo,
precisa,
perfetta.
Un sorriso malefico
le modellava le labbra,
mentre tornava
nel posto che aveva sempre chiamato casa
e che stava diventando una semplice
bellissima
prigione.