BABILÙ
C’era una volta il paese di Maggiociondolo e i suoi abitanti erano felici, era gente semplice, che si accontentava di poco, contadini nell’animo e nelle rozze, grosse mani spesso sporche di terra: semina, raccolto, vendemmia, animali, un buon fuoco d’inverno, la frescura delle querce d’estate, queste le cose essenziali intorno alle quali trascorreva la loro vita.
Ma per Babilù no! Lui era diverso: cantava canzoni, sognava guardando le stelle e sospirava alla luna , la sua pancia era sempre vuota e il suo stomaco brontolava per la fame…però Babilù non riusciva a fare il contadino: gli attrezzi erano troppo pesanti per lui, invece di arare si fermava a guardare i fiori, invece di mietere, carezzava le spighe.
La gente del paese un po’ lo compativa, un po’ lo sbeffeggiava: - Chi si crede di essere…un signore?- - Mettesse mani alla zappa per guadagnarsi il pane! Quello ha la testa piena di nuvole e di bubbole! Un po’ di sano sudore condisce il miglior pane!- - Certo, gli manca qualche rotella! -
Alla fine , l’unico lavoro che aveva trovato era quello di spaventapasseri, tanto la sua sagoma era già quella! Alto, ossuto, i vecchi vestiti rattoppati, il cappello scalcagnato, le scarpe rotte di due misure più grandi, i pantaloni legati in vita da un laccio penzolante e la giacchetta con le stoppie in tasca, ogni tanto lui ne prendeva una e la succhiava.
- Babilù ? Ho seminato oggi! Vieni per un paio di settimane nel mio campo a scacciare i passeracci, finché non germogliano i semi?-
E Babilù andava: si piazzava nel campo all’alba, con le braccia spalancate e guardava il cielo, i vestiti gli si incollavano addosso per il vento e sul suo viso di bambino si leggeva la gioia di poter inseguire i suoi sogni.
Al tramonto andava a riscuotere: un po’ di minestra, a volte qualche moneta, poi andava a dormire in un fienile o sotto un ponte, secondo le stagioni.
Un giorno lo chiamò il più ricco possidente di Maggiociondolo per presidiare un campo molto grande, tanto che alle estremità del podere erano stati messi degli spaventapasseri veri e propri:- Controlla che il vento non li butti giù! - si raccomandò il proprietario - e che i ragazzacci non gli strappino i vestiti e scaccia gli uccelli più grossi che non si lasciano intimidire dai pupazzi, d’accordo? - Babilù annuì e si recò sul campo.
Che fatica! Era autunno e il vento soffiava forte, così Babilù correva continuamente a raddrizzare ora l’uno, ora l’altro pupazzo che cadevano. In particolare, una pupattola più fragile degli altri, che i ragazzacci amavano particolarmente prendere di mira con i sassi, per via dell’ampia gonna tutta lisa e della magiostrina rotta che le faceva da cappello: - Perdoni, signorina! Non sono cattivi, sono solo monelli, non sanno rispettare la bellezza!- Così mormorava il giovane rialzando per l’ennesima volta lo spaventapasseri, lisciandone la sottana impolverata, stringendo i lacci rotti del corpetto, aggiustando sui capelli di stoppie il cappellino di paglia. Poi raccolse un mazzolino di fiori e lo legò soddisfatto a un braccio del pupazzo, quindi ricominciò a scacciare le cornacchie sfacciate.
Eh sì, Babilù si era innamorato: scendeva la sera, con la nebbia arrivava la brina che ricopriva ogni cosa di un bianco e gelido mantello scintillante, ma il ragazzo non voleva lasciare sola la sua bella, si stendeva sulla terra accanto a lei e si addormentava sfinito.
Passavano i giorni , Babilù era sempre più smagrito, sporco, lacero, non si allontanava più dal campo: la gente passava e scuoteva la testa sospirando, i monelli lo schernivano:- Babilù!? Come sta oggi la tua bella? - Ma Babilù sembrava non sentire nulla e nessuno; aspettava la sera e si rannicchiava lì a dormire, raggomitolato come un gattino.
Ed ecco, una notte, baluginare un tenue scintillio, il pupazzo si animò e si chinò sul ragazzo: era una giovane donna dalla leggera gonna a fiori, danzante intorno alle gambe snelle, con un elegante cappellino di paglia sui capelli dorati come il grano e , tra le mani, un mazzolino di fiori: si chinò su Babilù, lo prese per mano, lo baciò e insieme sparirono nella nebbia.
E così, da Maggiociondolo sparirono , in una notte d’autunno, due spaventapasseri e mai nessuno ne seppe più nulla, ma secondo me, se guardate bene nelle notti di luna , li vedrete danzare col vento tra i campi…