Una storia di provincia
C’era una volta un paese, Nebbialunga, di cui si poteva capire molto già dal nome; era un paesetto della vallata, con un fiumiciattolo stretto e lento che lo attraversava, lungo le rive salici piangenti e calle rigogliose, nelle acque sonnolente, anatre selvatiche starnazzanti.
Naturalmente, la nebbia la faceva da padrona, per via del fiume e dello scarso vento che non riusciva a spazzare il fondo valle, i cittadini un po’ l’amavano e un po’ la temevano, perché sembrava permeare tutto di una strana polvere quasi magica, che faceva perdere il contatto con la realtà.
Nella piazza principale c’era un piccolo cinema, il Picardi-Splendor, nel quale arrivavano i film non so quanto tempo dopo, rispetto alla città, ma, almeno, anche lì la gente, se pure con ritardo, poteva andare a sognare e sospirare per un divo, a emozionarsi per avventure fantastiche o storie d’amore o gialli intriganti.
Quella sera si era fatto tardi: l’ultimo spettacolo domenicale iniziava alle nove e il film, un bel giallo a sfondo psicologico, era stato piuttosto lungo.
Il signor Picardi, proprietario del cinema, nonché esercente, bigliettaio, proiezionista, gestore del chioschetto-rinfreschi e perfino ragazzo delle pulizie, aspettava impaziente che anche gli ultimi spettatori uscissero, per poter finalmente chiudere il cinema e correre a casa ( si trattava solo di salire le scale del portoncino accanto, in verità ) dove lo aspettavano la cena, del buon vino e i risultati del calcio alla tivù. Così Picardi, muovendosi nervosamente sulle gambe, appoggiandosi ora sull’una, ora sull’altra, salutava, tenendosi vicino all’uscita, tutti quanti.
C’era la coppia del farmacista e della moglie, lei sempre più curva e aggrappata al braccio di lui, che parlavano fitto fitto tra di loro e, a stento, facevano un cenno di saluto con la mano…
C’era il beccaio, solo, rosso in volto e un po’ affannato, aveva già pronto il sigaro in bocca e i fiammiferi in mano: - Ehi, Picardi! Se solo si potesse fumare al cine! Allora sì, che mi sarei goduto il film! Salve, salve, buonasera!
E la comitiva dei giovani, chiassosi, che si spintonavano qua e là, tra le risatine delle ragazze e le spacconerie dei ragazzi che volevano farsi notare da loro…
C’era la maestra Bernabò, con la sorella più grande, rigorosamente vestite di nero da quando, vent’anni prima, era mancata la” povera mammà”, si fermarono a protestare con Picardi, perché dietro di loro, nella sala, c’era la giovane Sorini, col fidanzato ( ma chissà, poi, se i genitori lo sapevano! ) che avevano tubato tutto il tempo, e bacini e carezzine e chissà che altro! Ma dove si sarebbe finiti in questo modo…e che si mettessero delle belle luci forti in sala, certo, anche durante la proiezione del film, così , forse, certi scandali si sarebbero evitati!
Le Bernabò se ne andarono via scrollando la testa, tutte e due ossute e caracollanti sui vecchi tacchi rumorosi delle scarpe domenicali, ben presto sparirono anche loro nella nebbia che quella sera era particolarmente fitta e rendeva ancora più fioche le luci del paese.
Tra gli ultimi uscì la Silvana, sempre bella nelle sue forme generose, col sorriso luminoso pronto sulle labbra e il suo fare, schivo e gentile nello stesso tempo: - Complimenti, Picardi! Ha scelto proprio un bel film anche stasera! Per due ore non ho pensato a null’altro! Arrivederci!
E sì che la Silvana di preoccupazioni ne conosceva! Si era cresciuta da sola la figlia, da quando, quindici anni prima, si era scoperto che era una ragazza madre, sedotta e abbandonata. Quante chiacchiere a Nebbialunga! Le Bernabò in testa, ognuno aveva detto la sua, anche perché la bellezza della giovane era molto invidiata dalle donnicciole del paese, che mal sopportavano gli sguardi eloquenti con cui gli uomini, mariti e non, seguivano gli andirivieni di Silvana tra i tavolini del caffé, infatti lei serviva lì, ai tavoli del Caffé Pezzi, col suo vassoio, il suo sorriso e il suo fare serio, che non dava confidenza a nessuno. Ma poi, l’amore l’aveva presa: era arrivato Giovanni, commesso viaggiatore, occhi di velluto nero, parole audaci, tutto il calore della Sicilia da cui proveniva…e la fitta nebbia di quel paesetto si era sciolta nel cuore della Silvana che lo aveva amato con lo slancio e la passione dei suoi vent’anni, senza riserve e senza domande. Così poi Giovanni era sparito e lei si era ritrovata con un bel pancione e i risolini delle comari, che comunque, masticarono amaro, perché, anche incinta, Silvana restava la più bella e ci fu perfino chi le chiese di sposarlo in quelle condizioni: ma lei disse no, ostinatamente, perché all’amore ci credeva davvero, continuò il suo lavoro, crebbe la bambina e il Pezzi, morendo senza eredi, fece anche l’unica cosa buona della sua vita, lasciandole in eredità il Caffé.
Silvana aveva sempre una parola gentile per Picardi, uno dei pochi, in paese, che non le avesse mai sparlato dietro e non ci avesse mai provato, anche se diventava tutto rosso e imbarazzato quando la vedeva e balbettava perfino un po’; sì, un gran brav’uomo veramente! E poi gentile, pieno di delicatezza, non la guardava mai sfacciatamente, come certi altri e le cedeva il passo sulla porta del Caffè, come a una signora, e, parlandole di sua figlia, le diceva” la signorina sua figlia “ , con rispetto…
Anche la levatrice e la Maffei, ex infermiera, ormai in pensione tutte e due e inseparabili, uscirono, attardandosi a discutere tra loro su chi, per prima, avesse individuato l’assassino nel film e ognuna rivendicava puntigliosamente questo privilegio, come vera esperta di gialli ( “ Non dimenticare che io ho letto almeno dieci Agatacristi “ “ E i miei Nerovolf, allora?”) E nemmeno si accorsero del Picardi, infreddolito e in piedi vicino alla saracinesca, che non poteva abbassare, poiché loro sostavano sulla soglia come galline schiamazzanti.
Infine se ne andarono, la nebbia le inghiottì e l’orologio del Comune battè le undici e tre quarti.
Picardi era stanco, quasi quasi pensava di rinunciare alla tivù, alla cena e al vinello per andare subito a letto; aveva già una mano sull’interruttore generale della luce e una sul lucchetto da applicare alla saracinesca, quando udì un rumore nell’atrio e vide un ometto che, uscendo dal bagno, si affrettava zoppicando verso la porta con un mezzo sorriso di scusa…
-Mi perdoni, direttore! Sa…la toilette…ne ho approfittato, dopo un film così lungo…ma, eccomi! Grazie …scusi, signor Picardi…arrivederci!
Picardi, meravigliatissimo, lo guardò uscire e recuperò immediatamente tutto il suo spirito, senza più l’ombra del sonno: - Ma come, conosce il mio nome, e io non so nemmeno lontanamente chi possa essere…mai visto! Eh, diamine! Uno così, qui a Nebbialunga, mica passa inosservato! Piccolo piccolo, quei baffetti grigi, tutto grigio veramente…e poi zoppo…mah! Chiederò domani…
Rassegnato, il proprietario-tuttofare del Picardi Splendor pose nuovamente la mano sull’interruttore quando un cigolio sinistro lo fece sobbalzare, gelandogli il sangue nelle vene…
-Madonnina !- esclamò l’uomo girandosi circospetto e frugando con gli occhi nella scarsa luce – Ma che sciocco!- sospirò poi con sollievo, vedendo che era semplicemente la porta della toilette ( un lavandino filato e un gabinetto giallastro, senza tavoletta…) che si era aperta.
- E va bene! Fammi chiudere, però, dovessero entrare i gatti dell’Antonia dal finestrino! - si disse pazientemente, ma, come si accostò, ebbe un altro sussulto: c’era una cosa scura poggiata sul bordo del lavandino.
- Già…già …un gatto? – mormorò Picardi, sudando freddo. Però decise di avvicinarsi per vedere meglio…ma no, che gatto e gatto…era un indumento che, preso in mano e aperto, si rivelò per una soffice, leggera, ampia giacca di lana grigia, molto elegante.
- Non si direbbe proprio di quell’ometto dimesso!- si meravigliò Picardi – Certo, ora se ne accorgerà e tornerà indietro a riprenderla…oh, diamine! Adesso la porto su a casa con me, almeno, quando busserà, non sarò costretto a riaprire il cinema…
Così si disse Picardi, poi, per avere le mani libere, si appoggiò la giacca sulle spalle e subito sentì un meraviglioso tepore spanderglisi addosso…
-Ecco, si vede quando la roba è di buona qualità! Ah, che sensazione di benessere…ci voleva proprio con questa serataccia umida…E ora, tornando a casa, mi piacerebbe trovare il fuoco del camino ben attizzato, la tivù già accesa sul mio canale preferito, la cena in caldo, col vino bello e versato, le pantofole accanto alla poltrona e magari qualcuno che mi aspetta con ansia…
Così fantasticava Picardi e intanto spegneva le luci, abbassava la saracinesca, chiudeva il lucchetto, apriva il portoncino con la lunga chiave di ferro, saliva le scale, metteva nella serratura della porta di casa la chiave più piccola, apriva ed entrava nel suo soggiorno.
Si fermò sbigottito.
Il fuoco nel caminetto ardeva vivacemente, i ciocchi sprizzavano scintille.
La tavola era apparecchiata e la minestra fumante.
Il vino, già versato nel bicchiere, era di un intenso, invitante color rubino.
La televisione era accesa sulla Domenica sportiva e le pantofole occhieggiavano sul tappeto .
Infine, un piccolo cane bianco e nero scodinzolava festosamente e gli lambì con dolcezza la mano.
Picardi si stropicciò gli occhi: - E’ stata l’Antonia! – pensò – Mi ha sentito chiudere ed è salita un momento per fare tutto questo! Forse mi è grata perché non protesto mai per il ritardo del fitto…ma, povera donna, il marito disoccupato, i bambini piccoli…e poi fa tante cose per me…E questo cane? L’avrà trovato…lei non lo può tenere per via dei gatti…
Nonostante si fosse dato una spiegazione, rimase un po’ perplesso, tuttavia di buon umore; si spogliò, cenò con appetito, bevve tre bicchieri di vino e tutto gli sembrò più bello e più buono del solito. Quando si mise in poltrona , il cagnolino si accovacciò ai suoi piedi e lo guardò come solo i cani sanno guardare il padrone…
-Va bene, va bene! – bofonchiò l’uomo assonnato – Mi sembri una brava bestiola e questa potrebbe diventare casa tua…Del resto, io ho bisogno d’affetto. Certo, mica sei la Silvana tu…quella sì che è una donna! – e pensando al sorriso e alle morbide braccia della Silvana, Picardi scivolò nel mondo dei sogni. Così gli parve d’essere nella piazza del paese, accanto al suo cinema chiuso.
Tutto era coperto da una fitta nebbia ovattata, che attutiva anche i rumori, tanto che stentava a orientarsi. A un tratto cominciò a sentire un passo cadenzato, regolare, con un suono strano, un passo a tre tempi: “ ta-ta-tac…ta-ta-tac…”
Emerse dalla nebbia l’omino grigio e Picardi, battendosi una mano sulla fronte, si dette subito la spiegazione dello strano ritmo: - E già! E’ zoppo! Ma…è piuttosto diverso da ieri sera…!!- si disse. Infatti l’ometto non aveva più l’aria schiva e dimessa, anzi!
Sul viso appuntito brillava un sogghigno intrigante e maligno e gli occhi, molto arrossati in verità, avevano uno sguardo sornione e arrogante al tempo stesso…
-Salve, Picardi! – ridacchiò
- Sssalve…- rispose l’uomo, sulla difensiva – Se è per la giacca.. ecco, è qui! L’ho portata via dal cinema per custodirla, ma è sempre vostra, naturalmente…- balbettò
- Oh, per carità, non c’è fretta! Nessuna fretta! L’avete apprezzata per quello che vale?- replicò l’omino con fare viscido
- Sss...sì, sì – balbettò Picardi - bella giacca, bella lana.. è qui vi dico, ecco…
- SIGNOR PICARDI!! Non ci prendiamo in giro, PREGO!! – L’omino sembrava seccato ora: - VOI SAPETE che è una giacca speciale, no? – concluse, socchiudendo gli occhi.
Picardi deglutì, sempre più imbarazzato, non riusciva a parlare.
-E va bene! dovrò chiarire io…- sospirò l’omino grigio – si tratta di una giacca magica, incredibile! Se uno la indossa ed esprime un desiderio, questo si avvera! La prima volta è…beh, diciamo così, gratis! Ma se si vuole che avvenga ancora, ecco, c’è…sì, un piccolo prezzo da pagare...
- E…sarebbe? – chiese Picardi strabiliato
- Per esempio…voi volete Silvana? Sì,sì, so che è nei vostri sogni, amico mio, IO SO TUTTO! – sogghignò lo zoppo – Non arrossite! Bene, voi indossate la giacca, dite ad alta voce “ Voglio la Silvana!” e quella, dopo dieci minuti suona alla vostra porta, tenera e disponibile come un agnellino…NE FARETE CIO’CHE VOLETE…poi pagate il conto, appena una firmetta sul contratto e via! Vi siete tolto uno sfizio!
- Vvvergogna!! – urlò Picardi – la Silvana non è uno sfizio per nessuno! Povera donna! Come se non ne avesse già passate abbastanza…Voi e le vostre magie da strapazzo…Sparite, brutto storpio! Storpio nell’anima, badate! Voi e la vostra g…giacca!- così dicendo, gliela lanciò addosso urlando e si svegliò, tutto sudato, affannato, mentre il cagnolino abbaiava dritto e teso sulle quattro zampe, la coda a mulinello, spaventato dal brusco risveglio dell’uomo.
Contemporaneamente, suonavano alla porta.
Picardi guardò l’orologio: erano le otto del mattino. Cercò di ricomporsi un po’: - Vengo, vengo!- Ciabattando, ancora sconvolto andò ad aprire e si trovò davanti la Silvana.
Spalancando la bocca in un muto “NOO!” cominciò a indietreggiare, scuotendo la testa e tendendo le mani avanti: - No! No! Torni subito a casa sua! – le gridò sul viso.
Silvana ammutolì, poi, diventando rossa, gli disse: - Signor Picardi? Non sta bene? Scusi, non sarei mai venuta a disturbare, ma ieri sera, al cinema, ho dimenticato una giacca…sa, è di mia figlia, non vorrei perdergliela, ci tiene tanto…non avrei disturbato se…
- Ah, la giacca…- mormorò Picardi, sollevato –dunque, è sua? Non è di quell’omino grigio e zoppo…come il diavolo!
- Diavolo? – rise la Silvana – Veramente è il nuovo sagrestano quello, si chiama Pio ed è il nipote di don Antonino…
- Ah! Ecco, io ho fatto un brutto sogno, signora Silvana, mi perdoni, mi perdoni – balbettò Picardi – Ma sa, il camino, la cena, il cane…
- Già, che bel cagnetto! Così siete in compagnia! – sorrise la donna accarezzando la bestiola – Mi diceva l’Antonia che aveva trovato un cucciolo da darvi…
- L’Antonia!...L’Antonia, già…- bofonchiò l’uomo, spalancando le braccia – Ma entri, dunque, non stia lì sulla porta!
E così parlarono a lungo, la Silvana e il Picardi, dopo aver spalancato le persiane e fatto entrare il sole: niente nebbia in paese quel mattino. E fecero il caffè e lo bevvero bollente e un po’ amaro, come piaceva a tutti e due, scoprirono. E scoprirono anche di amare entrambi le passeggiate nei boschi, i film gialli e i funghi trifolati.
E quando le Bernabò videro uscire la Silvana e il Picardi, a braccetto, da casa di lui, alle nove del mattino, strabuzzarono gli occhi, si fecero un segno di croce e corsero da don Antonino, decise a denunciare lo scandalo a Santa Madre Chiesa.
Ma, toh! Silvana e Picardi erano già lì e parlavano di pubblicazioni, nientemeno!
E la Silvana portava sulle spalle una giacca grigia di un’eleganza…sembrava fatta di nebbia, di nuvole, non so…da non trovarla neanche in città!...