Mancava poco all’alba.
Adriano guidava calmo, gli occhi appannati dalle lacrime.
“Dissociazione della personalità; Asociale; Mentalmente instabile,
non in grado di nuocere, ma inaffidabile;…schizofrenico, a tratti; paranoico…” questi termini gli rimbombavano ancora dentro la testa. Molto bravi i medici e gli avvocati mobilitati da sua moglie Luisa, per poterlo classificare. Era riuscita a ottenere la separazione e se ne era andata con i bambini.
Le lacrime gli scendevano copiose.
Le asciugò bruscamente con una mano, stringendo spasmodicamente il volante con l’altra.
“Dissociazione…” Ma cosa ne sapevano di lui?
Lavorare dalla mattina alla sera, i soldi che non bastavano mai, i mutui, i debiti, gli straordinari “e dove accidenti vai ogni tanto che sparisci? Hai un amante? Scommetto che sei gay, ci manca anche questa!” Niente vizi, niente hobby, a parte la passione per il cinema, soffocata abbondantemente dalla passione per i reality e le tele novelas di Luisa. E ora lo aveva lasciato, perché non era in grado di renderla felice e darle tutte le cose che voleva e per le quali non era sufficiente il suo stipendio. Anche i bambini lo avevano lasciato. Qualcuno doveva aver spiegato loro che potevano continuare ad avere telefonini e videogiochi anche senza di lui e quindi lui non era più necessario. Non era mai stato capace di imporsi. Nemmeno quando gli avevano sequestrato la casa per pagare le cause perse con gli avvocati. Era venuto anche un medico e due carabinieri, assieme all’ufficiale giudiziario, li aveva fatti accomodare, “un attimo” , aveva detto loro gentilmente, era uscito dal retro, preso l’auto dal garage e se ne era andato.
Quella notte aveva dormito in macchina.
Forse lo cercavano, chissà. Cercava di sintonizzarsi su un giornale radio, ma c’era troppa stupida pubblicità gioiosa e non gli andava di sentirla. Forse avevano detto che era pazzo… si chiamavano ancora così i pazzi o erano anche loro portatori di qualcosa?
Forse, portatori di infelicità.
Captò un coro di voci bianche che cantavano una messa barocca. In mezzo a tanta idiozia mandata anche via etere, quella era come acqua fresca. Si rilassò. Era ormai fuori città, il cielo cominciava a tingersi di arancio, ma il sole ancora non sorgeva.
Lasciò la statale e prese la solita strada sterrata.
“ Dove accidenti vai ogni tanto che sparisci?”
Si diresse alle falde della montagna che dominava la città. Attraversò campi contornati da vigne e uliveti ancora avvolti di ombre notturne. Giunse su uno spiazzo libero, cosparso all’infinito di fiori. Si fermò. Spense le luci. Scese. Il silenzio che lo avvolse, assieme all’odore dell’erba bagnata di rugiada, entrò dentro di lui come un balsamo.
I grilli smisero di trillare, poi, ripresero la loro musica.
Come se avessero riconosciuto che non c’erano intrusi.
Adriano guardava estasiato la montagna, che cominciava a incendiarsi dei colori dell’alba. Si tolse la giacca, la camicia, poi, velocemente, tutto il resto, rimanendo completamente nudo. Avanzò in mezzo al prato, toccando lievemente con le dita i fiori più alti che gli venivano incontro, accarezzandolo lievi, facendo sentire il loro profumo ancora umido della notte.
Il sole stava sorgendo. La sua sommità sporgeva come ferro incandescente dalla sommità dei monti azzurrini. Si era sempre recato lì, appena aveva potuto, prima di andare in ufficio. Niente palestre, corse al parco con cuffiette per cd, biciclette… no. Lì.
Il sole lo aveva protetto, scaldato, amato, dato la forza di vivere la sua vita disastrosa. Non lo aveva mai abbandonato, tradito, umiliato. Cominciava a sentire il calore della Sua luce sul suo corpo. L’odore del caldo dentro di se.
Sorrise felice. Si. Felice.
Per il solo fatto di essere stato notato anche in quella circostanza.
Per il solo fatto di sentire calore.
Il sole sapeva della sua esistenza. Lo avrebbe aiutato. Non era solo. Non era pazzo. Non era pazzo.
Con il cuore colmo di questa consapevolezza, l’uomo si prostrò al suolo e lo adorò piangendo.