Allora Veronika fu nuovamente pervasa da un senso di pace profonda. Tornò a guardare il cielo stellato, con lo spicchio di luna crescente - la sua preferita - che inondava di luce soave il luogo in cui si trovava. Fu allora che ricomparve la sensazione che l'Infinito e l'Eternità procedessero tenendosi per mano, e che bastasse contemplare uno di essi - magari l'Universo senza limiti - per notare la presenza dell'altro: il tempo che non finisce mai, che non passa, che permane nel presente, dove sono custoditi i segreti della vita. Tra l'infermeria e la sala di soggiorno, lei era stata capace di odiare, in un modo talmente forte e intenso che adesso nel cuore non le era rimasto più nemmeno un briciolo di rancore. Aveva lasciato che tutti i sentimenti negativi, rinchiusi lì per anni, finalmente affiorassero. Ora che li aveva provati, non erano più necessari: potevano scomparire.
Rimase lì in silenzio, vivendo il suo presente, accettando che l'amore occupasse lo spazio lasciato dall'odio. Quando sentì che era giunto il momento, si volse alla luna e attaccò una sonata, in suo omaggio, sapendo che lei l'ascoltava e che ne era orgogliosa: e questo rendeva gelose le stelle. Allora suonò un brano anche per le stelle, poi un'altra musica per il giardino, e una terza per le montagne che di notte non poteva vedere, ma che sapeva sullo sfondo.
Nel mezzo del pezzo dedicato al giardino, comparve un altro ricoverato: Eduard, uno schizofrenico per cui non esisteva alcuna possibilità di cura. Veronika non si spaventò per quella presenza: al contrario, sorrise. Con sua grande sorpresa, lui ricambiò il sorriso.
La musica riusciva ad entrare e a compiere miracoli anche nel suo mondo lontano, più lontano della luna.