Le tre. Gocce fragorose rompevano il silenzio della notte. Il lento stillicidio di un lavandino era accompagnato dal prepotente ticchettio dell’orologio a muro. Ogni secondo una coltellata all’insonnia. E l’incedere inarrestabile del tempo era l’unica sicurezza. L’unica consolazione che prima o poi anche quella notte sarebbe finita.
Si girò dall’altra parte, verso la finestra. Roteava sul letto ormai da un’ora, senza la minima possibilità di addormentarsi. Fissava il buio mentre il buio ricambiava il suo sguardo ingoiandolo.
Tic tic tic. Le gocce. Le lancette. L’ossessione.
Il suo stesso respiro nella stanza era assordante come schiocchi di fruste sui timpani.
Alla fine si alzò. Due passi per la stanza scura. Ormai la conosceva a memoria nell’oscurità perché quella era diventata la sua dimensione. Il buio era dentro di sé e sapeva come muovervisi.
Passò davanti al bagno. Le stille continuavano a martellare nel lavandino e nella sua testa. Accese la luce e si sedette sul bordo della vasca a fissarle. Il bianco della ceramica scintillava per l’umido contrasto tra l’acqua e la luce. Dopo qualche minuto travestito da ora si alzò e poggiò le mani sulla candida fredda estremità del lavandino. Guardò nel tubo di scarico scoperto. Sembrava un cunicolo infinito e aumentò la sua ansia. Con gesto delicato trasse dal dito l’anello. Osservò con amarezza quel cerchio d’oro. Lo rigirò tra le dita più volte. Poi un ticchettio in più siglò il percorso della fede nuziale nel condotto. La guardò afflitto mentre veniva fagocitata da quella galleria, persa poi in chissà quale melma, per non tornare mai più a galla. Come il suo matrimonio.
Una lacrima si unì al costante centellinare dell’acqua confondendosi con le sue gocce. E poi un’altra. E poi cento ancora. E poi, il silenzio.
continua....