Sorretta da una strana forza interiore, Anne girovagava senza meta per le vie della città. Si fermava davanti ad ogni negozio, specchiandosi nelle vetrine e immaginandosi vestita di quei capi d’abbigliamento che le donne di buona famiglia sfoggiavano in occasione delle festività natalizie. Anne camminava e osservava i volti della gente a lei estranea, cercando negli occhi di quelle persone, fredde come l’aria che le soffiava addosso mozzandole il respiro, una traccia di umanità, l’ombra di un’esistenza simile alla sua. Si aggirava come un fantasma tra i vicoli del centro città, immergendo i piedi nella neve che cadeva ancora fitta, per trovare la grotta in cui tutti attorno a lei sembravano aver nascosto e sepolto i sentimenti di amore e affetto. Si girava di continuo, fermandosi in mezzo al marciapiede, travolta dalla fiumana di gente che si affrettava ad entrare nei negozi per comprare gli ultimi regali. Si girava e non vista dagli altri, si guardava attorno: fissava i piccoli occhi di un bambino che urlava per farsi comprare un giocattolo nuovo e quelli di un padre afflitto che tornava a casa senza nemmeno un pacchetto, anche lui vittima della crisi. Vedeva l’ipocrisia di chi si salutava con falsi sorrisi o di chi teneva per mano il coniuge pensando all’amante con cui aveva trascorso il pomeriggio in una stanza d’albergo. S’immaginava mentre salutava amici invisibili in quella città sconosciuta, dove tutti sembravano troppo presi da se stessi per interessarsi degli altri.
Anne entrò in un bar per scaldarsi. Si sedette al tavolo più vicino alla vetrina e per un attimo desiderò che qualcuno le chiedesse di potersi sedere con lei, su una di quelle tre seggiole vuote. Osservava la neve posarsi sul grande abete addobbato nella piazza e cercava di ascoltare ciò che la gente desiderava dire con lo sguardo, vedendo negli occhi altrui più di quanto fosse necessario sapere. Ordinò un cappuccino bollente e notò come le persone nel bar sembrassero a proprio agio tra quelle pareti azzurrine, immerse nel profumo dei dolci appena sfornati e del caffè macinato. Il calore di quel locale sembrava aver scaldato il cuore di chi fino ad un attimo prima era sembrato così distante. Anne continuava ad osservare tutti attorno a sé, cercando un indizio che la portasse a scoprire il loro passato. Teneva tra le mani la tazza fumante, mentre ogni tanto gettava lo sguardo sul giornale aperto sul tavolino bianco, senza nessuna voglia di leggere l’ennesima notizia di cronaca nera. Le piaceva girovagare in quel modo, la sera, spiare le persone, osservarle per vedere cosa potesse accomunarle a lei, che in fondo si sentiva così diversa: diversa nelle origini, nella cultura, nel colore della pelle. La faceva rilassare, sentiva la sua mente e il suo corpo che si allontanavano da quella quotidianità di cui era caduta vittima anche lei; quella quotidianità che le aveva portato via gli amici, la famiglia, persino la vita, assorbendo tutte le sue energie e le sue risorse. E ora, dopo aver passato più di quarant’anni in quella città in cui ancora si sentiva straniera, dopo aver ascoltato per quarant’anni i problemi della gente, Anne avrebbe voluto che ci fosse qualcuno che stesse a sentire lei, che le asciugasse le lacrime con un fazzoletto come lei aveva fatto con i suoi pazienti. E per questo Anne girava per la città per trovare, o forse ritrovare, chi le assomigliava nell’anima e nell’esistenza, arrivando a capire ciò che lei non aveva mai avuto il coraggio di svelare nemmeno a se stessa.