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Autore Topic: Che fine ha fatto Joe McFly?  (Letto 3290 volte)

Offline Joe McFly

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Che fine ha fatto Joe McFly?
« il: 31 Dicembre 2006, 01:12:26 am »
Cari amici,
in un post precedente ho messo in circolo l'inizio del 1° racconto della serie "Joe & Giangi", intitolato "L'alieno"...
Per ovvi motivi non ho mai postato il finale di tale storia e, questo, credevo avrebbe scaturito enormi critiche, difficili da gestire. In verità, ho ricevuto molti complimenti e di questo Vi ringrazio enormemente...
Ho pensato anche che Voi non abbiate insistito nel voler conoscere il finale per rispettare la mia idea di base: e, allora, Vi debbo ringraziare per la seconda volta!!!
Col tempo, però, ho pensato a tutti Voi, al quel desiderio di conoscere l'assassino che, senza tale rivelazione, un racconto giallo non ha motivo di esistere. E (rivelazione shock!) il bello di ogni mio racconto è il finale, quindi, non potete giudicare la mia "vena poetica" senza aver completato ALMENO 1 dei miei racconti: se si tratta di Joe McFly, poi, allora ne vale proprio la pena!!!

Al momento non posterò da subito il continuo, ma attenderò un pokino, giusto il tempo di predisporVi a questa sorpresa attesa (da qualcuno) o indifferente (per altri)...
Bye, bye, amici miei!!!  B)
Cosa c’è da dire sul bisogno di morire?
Hai detto qualcosina che gironzolava nella testolina
e, in fondo, non sei cambiato quando il mondo se n’è andato.
C’è soltanto da ribadire che non tutto deve finire
e rimane da  scommettere
che la vita è anime da mietere.[

Offline Manfry

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Che fine ha fatto Joe McFly?
« Risposta #1 il: 31 Dicembre 2006, 10:27:35 am »
Grazie mille Joe per questa tua concessione!!!! Te ne sono e te ne siamo grati!!!!
Alla continuazione
MANFRY

Non esistono né pregi né difetti, ma solo caratteristiche che ci rendono unici.

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Che fine ha fatto Joe McFly?
« Risposta #2 il: 31 Dicembre 2006, 10:43:32 am »
mi accodo a Manfry!

THANK YOU JOE!!!!!!!!!  ;)


---------> -3 <-----------
Per avere qualcosa che non hai mai avuto devi fare qualcosa che non hai mai fatto

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Offline Young dreamer

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Che fine ha fatto Joe McFly?
« Risposta #3 il: 31 Dicembre 2006, 12:13:36 pm »
Grazie Joe!!!!!!!!!!!Ho le mie ipotesi sull'assassino...che sia quello lì,come si chiama...JOE MC FLY??? :D  :lol:  :lol:
Bugia non  ne ho idea!^^
 
E dopotutto ci sono tante consolazioni! C’è l’alto cielo azzurro, limpido e sereno, in cui fluttuano sempre nuvole imperfette. E la brezza lieve […]
E, alla fine, arrivano sempre i ricordi, con le loro nostalgie e la loro speranza, e un sorriso di magia alla finestra del mondo, quello che vorremmo, bussando alla porta di quello che siamo.
(Fernando Pessoa)       Blog: http://sogna-ragazzo-sogna.blogspot.com/

Offline Joe McFly

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Che fine ha fatto Joe McFly?
« Risposta #4 il: 13 Gennaio 2007, 21:40:44 pm »
Tanto per, Joe McFly è l'eroe: è difficile che sia lui l'assassino!  :P
Cmq, ancora una volta non ho avuto richieste esigenti: forse non vi interessa il racconto? Lo capisco: è brutto! Ma allora perchè continuo ad inistere? Bhò... Però, se prima avevo paura, adesso ho deciso di porvelo, fino alla fine... Avrete almeno la curiosità di sapere chi era l'assassino!!!
E, poi, non potevate conoscere a metà un'avventura di Joe McFly, senza sapere il finale (cioè, la parte più interessante in tutti i miei racconti).
Quindi, buona lettura, ed è inutile ripetere che mi interessano molto le Vostre impressioni...
N.B.: Per chi, l'ultima volta, era rimasto "impressionato" dal carattere di Joe e dei suoi modi di fare strampalati, adesso avrà pane per i loro denti: la seconda parte scava ancor di più nel suo carattere e leggerete scene in cui si farà beffe di tutti, persino dell'amico Giangi...

Che fine ha fatto Joe McFly? Era arrivato sotto casa di Mattew e, trovandola vuota, ha poi conosciuto una ragazza, che ha rivolto ai due agenti la parola, mentre il signor Hesse li spiava dalla finestra...


A quell’ora, il bar era deserto. Solo qualche abitudinario, seduto al bancone, beveva del wisky. I tre ragazzi erano seduti ad un tavolo con davanti del caffé. Lei aveva dei bei capelli biondi che le scendevano lungo le spalle, così biondi che luccicavano sotto la luce e degli occhi così profondi che la totalità dell’universo si sentiva smarrita in essi. In una situazione differente, Joe ci avrebbe pensato su, ma in quel momento gli stava più a cuore risolvere il caso.
[...]
“Come conosci Mattew?”, le chiese Joe, guardandole gli occhi.
“Era il mio ragazzo. Poi un giorno sparì e non lo rividi più per qualche tempo”.
“Poi, però, hai saputo che era andato a vivere in quella casa”.
“Qualche volta ci sono stata. Abbiamo litigato parecchio prima che ci lasciassimo. Ora non so proprio dove potrebbe essere. È un vagabondo e non ha legami con nessuno”, disse, stringendo la tazzina tra le mani.
“La seconda casa da cui è scappato era la vostra, vero?”, chiese timidamente, ma con la sicurezza di aver indovinato.
“Sì – ammise, difatti, tristemente – Vivevamo insieme già qualche mese dopo esserci fidanzati. Conoscevo il suo carattere ribelle, ma pensavo che stesse cambiando”.
“Non si può essere mai sicuri di nulla…”.
“E la prima casa?”, domandò, allora, incuriosito Giangi. Joe non le aveva posto quella domanda, perché la risposta, dal canto suo, era talmente ovvia quanto scontata.
“Casa sua, originale. Scappò di casa quando aveva più o meno 16 anni. I genitori chiesero aiuto anche alla polizia, ma lui, ogni volta, scappava di nuovo. Inizialmente, gli davano dei soldi per gli alimenti e robe di vario genere. Poi, smisero pure di mantenerlo”.
“Sei stata tu a chiamare la Centrale?”.
Lei annuì.
“Ho voluto mantenere l’incognito, altrimenti mi avrebbero fatto tante domande a cui non avrei nemmeno saputo rispondere”.
“Ti capisco. E credo che tu abbia fatto la cosa giusta. Alle volte la polizia sa essere abbastanza noiosa”.
Giangi si stupì di sentire il leggendario Joe parlar in quel modo della polizia, dopo che per anni ne aveva preso le difese ed aveva sacrificato la propria vita per loro, che lui considerava quasi una missione. Pensava davvero a quello che aveva detto, o lo aveva fatto solo per consolare la ragazza fragile ed abbandonata? Se lo chiese spesso e, forse, nemmeno tuttora è riuscito a darsi una risposta.
[...]  
“Non conosci gli altri degli identikit?”.
“No, non so chi siano. Potrebbero essere i suoi amici con cui viveva, ma io non li ho mai conosciuti”.
“Sai per caso se conosceva o aveva litigato con qualcuno, tipo il signor Tyler? Sa, quello che è stato ucciso”.
“Lui e i suoi amici non erano ben accetti, qui. Da ragazzi formavano una banda… Non so come si facessero chiamare. So solo che litigavano con tutti e se la prendevano coi ragazzi più deboli. Tutti del paese, soprattutto i ragazzi, li evitavano e nessuno voleva vedere a che fare con loro. Come se tutti ne avessero paura”.
“Forse è per questo che non erano visti di buon grado”.
“È probabile, ma non mi spiego tanta paura! Erano molto vivaci e vivevano fuori dalle regole, ma non credo fossero capaci di uccidere qualcuno. In un modo così orrendo, poi. Sa, ho letto i giornali”.
“Chissà di quanti assassini si può dire lo stesso”, pensò Giangi, e si stupì anche che i giornali riportassero notizie così cruenti. Qualche poliziotto doveva essersi fatto pagare molto dai giornalisti per quei particolari. Certe notizie vendono e lo scoop si fa pagar caro.
La ragazza aveva parlato con la tristezza nel cuore ed impressa sul viso. Forse amava ancora Mattew ed avrebbe voluto che non venisse coinvolto in quella storia. Ma con quest’ultime parole aveva cambiato espressione ed aveva anche sorriso.
Joe ignorava il perché e quando lei si passò la mano tra i capelli, quasi desiderasse liberarsi da ogni preoccupazione, quasi s’innamorò di quell’animo forte che desiderava tanto reagire, ma ignaro di come fare.
La cameriera si avvicinò al tavolo e chiese se avessero bisogno d’altro. Giangi le fece cenno con la mano che non mancava nulla e così si allontanò. La vide andar via e notò come il bar si fosse ripopolato di giovani. Per loro, quella era l’ora di punta. La ragazza cominciò a raccontare dei suoi problemi e di come aveva reagito, almeno in parte. Giangi le prestò attenzione, voltandosi ogni tanto, affascinato dai movimenti di quei giovani e di come le loro vite s’intrecciavano con milioni di altre.
“Non ha mai avuto voglia di studiare. Ripeteva sempre che era inutile e che è dalla strada che s’impara davvero a vivere. Poche cose lo attraevano a tal punto da dedicare tutto se stesso. E, tra queste, ricordo che c’era la musica, o almeno così capì io. Prima di finire in una brutta strada, desiderava comporre canzoni insieme ai suoi amici. Solo io ho saputo vedere cosa si nascondeva sotto quell’animo ribelle e quali fossero i suoi desideri. Perché anche lui li aveva, come tutti. E i suoi sogni: il sogno di mostrare al mondo la loro musica. Un sogno che la società gli ha risputato in faccia”.
Continuarono a discutere a lungo e le parole, ormai poco importanti, davano spazio ai sentimentalismi. Più la sentiva parlare, più Joe se ne innamorava, come al solito. Spesso s’innamorava delle persone con cui aveva a che fare, con le quali riusciva a dire qualcosa di sensato, senza avere il bisogno di balbettare. Ma erano soprattutto gli occhi e l’espressione del viso a catturare la sua attenzione e a dar vita a qualcosa di più.
[...]
Cambiarono discorso e la ragazza appariva più serena e più spontanea nel parlare. Perché non si turbava più con i suoi problemi o perché se n’era liberata, parlandone. Per questo motivo, i due interlocutori erano più propensi ad ascoltarla e a risponderle. Chiese loro per quale motivo s’interessavano a Mattew. Le dissero la verità. Non li credé.
Accompagnarono la ragazza a casa e tornarono alla loro, oramai a tarda notte. Prima di far ciò, c’era ancora qualcosa che Giangi aveva bisogno di sapere.
“Joe, pensi che l’assassino possa essere Mattew?”.
“Non dimenticare che devi essere tu a risolvere questo caso. Per questo non ti risponderò. È da bastardi, lo so, ma necessario. Ti posso soltanto ricordare che la prima regola per scovare il colpevole è di sospettare di tutti”.
“E quindi?”.
“Quindi, non sfogare la tua rabbia su un carattere ribelle”.
Erano stati i sentimenti a suggerirgli quelle parole, oppure Joe sapeva più di quanto voleva far credere? Era questo di cui teneva all’oscuro il suo collega? Era tardi per pensarci: avevano solo bisogno di una buona dormita. Avrebbero inventato una scusa per giustificare il loro ritardo, magari la solita serata in compagnia degli amici. Era facile, soprattutto per Joe, dire una bugia a fin di bene dopo che, per 10 anni, qualcuno lo aveva fatto per lui.
Nei giorni seguenti si sparse la voce e la gente iniziò a credere davvero all’alieno. In poco tempo gli avvistamenti U.F.O. moltiplicarono e le madri non lasciavano uscire i figli dopo un certo orario. Chi per paura per se stessi o per la loro famiglia, chi per alimentare la leggenda.
Ad un paio di miglia più lontano, la vita era tornata normale: Giangi pensava alla scuola e Joe era preso dai recuperi di fine trimestre, quei recuperi che i ragazzi fanno dopo un lungo periodo d’ozio e, un giorno prima dell’interrogazione, studiano per un totale di mezzo programma scolastico. Fortuna che lui riusciva facilmente ad apprendere e così, un po’ per colpa sua e un po’ per il lavoro, ogni trimestre finiva in quel modo. Il caso, però, aveva la priorità assoluta e questo Joe non lo aveva dimenticato. Non era solo per far giustizia, come diceva lui; questa volta era vicino a qualcosa di ben più grosso, lo sentiva. Qualcosa per cui valeva la pena prendersi un brutto voto, perché di fronte alla verità, i traguardi futili della vita sono di secondo ordine.
Giangi, logicamente, non pensava alla scuola come qualcosa di “futile”. Per lui, valeva la pena sudare e stancarsi per un buon voto. Così, nel suo studio, con gli occhi fissi sui libri, pensava solo che non sarebbe riuscito a studiare tutta quella roba per il compito di domani. Tutto al più, le idee strampalate del compagno contribuivano in buona percentuale alla sua distrazione.
[...]
Un rumore interruppe il filo dei suoi pensieri. Aprì la finestra e cercò di capire perché Joe aveva lanciato un sasso contro il vetro.
“Scendi, dai! Il lavoro ci chiama e a non ascoltarlo, ci si rimette”.
“Che ci fai sotto casa mia? Lo sai che domani abbiamo un compito?”.
“Davvero? Ma tu lo sai che domani potresti sapere qualcosa che adesso ignori e che è ben più importante di un compito scolastico?”.
Giangi lo aveva imparato! Ed ora sapeva che per nessun motivo sarebbe riuscito ad averla vinta sul compagno. Così scese e lo seguì, ovunque egli lo avrebbe portato. L’unica cosa che gli restava da fare.  
Salirono in auto e tornarono in quell’angusto paese, dopo esserci mancati per alcuni giorni.
“Ieri sera non sono riuscito a trovarti… Ma dove eri finito?”, chiese Giangi, mentre erano ancora in viaggio.
“Lo scoprirai tra poco!”. Joe aveva un espressione vuota, assente. Era chiaro che il giorno prima fosse accaduto qualcosa di straordinario, tanto da colpirlo in quel modo.
“Che avesse a che fare con il caso?”, pensò Giangi. Era probabile, ma fino a quando il suo compagno non si fosse deciso a parlarne, poteva solo fare delle ipotesi.                  
Giunsero in quello che, a prima vista, dava la sensazione di essere un grosso cimitero, un cimitero di sassi. Era al centro del paese, ma comunque deserto. Terreno ed enormi blocchi di cemento e ghisa si stendevano in un’enorme radura, senza un filo d’erba, coperta da polvere e roccia. Loro, discesi in un avvallamento, più o meno al centro, erano circondati da tali monumenti, abbandonati da tutti e, per questo, abbandonati a se stessi. Intorno a loro, il silenzio assoluto, per l’ora in cui erano giunti, ora in cui tutti riposavano.
“Joe, devo dire che da quando abbiamo iniziato a lavorare, mi hai portato sempre in posti molto allegri”.  
“Cosa vuoi farci? Sarà che in questi luoghi un po’ mi rispecchio”.
“Non dirmi che sei uno di quei pessimisti, che vedono tutto nero?”.
“No… Al momento vedo verde. È il colore che più si addice agli alieni”, disse con un sorriso.
“E dove sarebbero questi alieni?”, rispose Giangi, seccato.
“Qui!”.
“Qui?”.
“Non si sono mai mossi da qua”.
“Spiegati meglio… Gli alieni? L’assassino? Qual è la verità?”.
“Abbiamo smesso di cercare la verità. Qui ci sono sia gli “alieni”, che l’assassino, perchè in fondo sono la stessa persona”.
Joe si prese un attimo di pausa, per riordinare le idee e Giangi maledì quel momento. L’attesa creava un’ansia insopportabile.
“Questa è la cava – spiegò, dopo qualche minuto – Era qui che operavano. Ed è qui che sono tornati. Questo è il Quartier Generale degli “Alieni”!”.
“Gli alieni? Allora esistono per davvero!”.
“Il tuo amico ha la fantasia di uno scrittore. Corre più veloce delle proprie mani”.
Giangi alzò lo sguardo e vide un ragazzo sopra un enorme blocco di cemento alle spalle di Joe: era stato lui a parlare. Da quanto tempo era lassù? Ben presto se n’è aggiunsero altri al suo fianco.
“Loro erano gli “Alieni”. Un bel nome per un semplice gruppo di giovani, vero?”, disse Joe, ridendo dell’espressione spalancata ed incredula del suo amico.
“Eravamo semplici ragazzi che vivevano alla giornata. Non siamo mai stati dei violenti: è l’odio degli altri a creare i mostri. Gli assassini non esistono. Esiste l’odio, ed esiste l’orrore da esso generato”. Era sempre lo stesso ragazzo a parlare, mentre gli altri guardavano i due poliziotti con lo stesso odio negli occhi descritto dal loro amico. Era solo un modo per mostrare la loro maschilità, per poter cadere in piedi, una volta svelato il loro gioco.
“Di questo non sono del tutto d’accordo. Ma non siamo qui per parlare di questo, o erro?”. Joe si volse anche lui verso il ragazzo, sebbene desiderasse osservare l’espressione di Giangi, che non riusciva a dire neanche una parola.
“No, non sbagli”.
“Non sforzarti a spiegare i tuoi problemi: abbiamo lungamente discusso con la tua ragazza, Mattew!”.
“Vi avrà sicuramente detto riguardo la mia testardaggine e delle decisioni che mi montavano la testa. Avevo gli amici, e questo mi bastava. Nessun legame, nemmeno quello familiare, potevano scavalcarlo”.
“Ti capisco, ma lei ha sofferto molto per questo motivo”.
“Quando la conobbi, la consideravo il mio secondo legame più importante. Ora il primo, assieme agli amici che non si scordano mai – scosse il capo deluso – Penso che il tuo amico voglia capire qualcosa di più riguardo il delitto... Non gli interessano i miei problemi”.
“Sarei più curioso di sapere il come, perché i motivi sono sempre gli stessi”, intervenne Giangi, sentendosi tirato in causa.
“No, Giangi, in questa storia, il movente è la cosa più straordinaria di tutto!”.
Entrambi avevano la testa leggermente all’indietro per scorgere quei tipi che avevano sulla coscienza qualcosa di troppo grande da sopportare, ma di cui sembrava andassero fieri.
“Come tu ben saprai – incominciò a raccontare Mattew – un piano va ben progettato e noi dovevamo far ricadere la colpa su qualcosa che avrebbe distolto le indagini da noi e dall’intera faccenda”.
“Ma in che modo?”.
“Ci stavo arrivando. Decidemmo di sfruttare una storia uscita giorni fa su un giornale. Parlava di un avvistamento alieno avvenuto in questo paese”.
“Il signor Hesse!”, sussurrò Giangi. Iniziava a capirci qualcosa, ma i collegamenti con il resto restavano ancora oscuri.
“Esatto! Avevamo così una notizia che distogliesse l’opinione pubblica e un capro espiatorio dietro cui nasconderci. Dopodichè, studiate le abitudini di casa Tyler, siamo entrati e abbiamo messo in atto il piano”.
“Fammi indovinare: avete aspettato che la signora Tyler entrasse nella stanza, l’avete chiusa dentro e…”.
“E mentre uno di noi teneva stretto il signor Tyler alle spalle, una volta che anch’egli era salito, un altro lo uccideva. Un terzo, infine, manteneva la lampada che creava l’effetto luce, efficace per spaventare la vittima. Fili abbastanza lunghi che arrivino fino in cucina, esistono, sai?”.
“Mmm… ma come avete fatto ad entrare e a chiudere la porta della camera da letto?”.
“Nel modo più semplice in assoluto: avevamo le chiavi di casa. Le abbiamo usate anche per riaprire la porta, ed è stata una fortuna che la signora Tyler fosse spaventata e che sia uscita solo qualche minuto dopo, altrimenti il nostro piano sarebbe fallito”.
“Ricordi la presa staccata vicino al televisore? Pensammo fosse rotto, invece era stato volutamente manomesso da loro, magari qualche giorno prima, introducendosi in casa. Perché staccare la Tv, seppur rotta?”.
“Allora perché farlo, se non serviva a nulla?”.
“Per poter lasciare la spina disinserita senza dare nell’occhio! Nello scappare dalla finestra della cucina, avevano solo il tempo di portar via la lampada, non certo di inserire la presa. Pensavano che nessuno ci avesse fatto caso, ma ho detto a Jhon di rapportarci ogni particolare. Ho fatto lo stesso anche tutte quelle volte che non partecipavo più attivamente alle indagini. È una storia che ti racconterò, prima o poi”.
“Devo dire che ragioni proprio bene”, lo lodò Mattew. Giangi la pensava allo stesso modo. Joe si limitò a sorridere, ma non poteva nascondere quanto fosse davvero felice per quel complimento.
“L’arma del delitto non è stata ritrovata...”.
“L’abbiamo portata via con noi. Era un attrezzo da noi stessi inventato che permetteva di strappare il cuore di un uomo con poca forza”.
“Era proprio necessario ucciderlo in quel modo?”.
“La leggenda dell’alieno doveva essere alimentata e quello ci è sembrato il modo più efficace”.
“Comunque orrendo, a mio parere”, commentò Giangi. Era anche molto sorpreso che Joe non fosse particolarmente nervoso ed ostile verso quei macellai, quasi come se approvasse ciò che avevano fatto, per uno ancora oscuro movente. Eppur, di solito, a detta dei suoi compagni, era molto duro verso assassini e criminali. Non aveva pietà verso nessuno, tanto da ucciderli anche a sangue freddo, se necessario. Invece, questa volta, stava sentendo come nulla fosse e di tanto in tanto aggiungeva particolari alla vicenda, come se fosse un gioco in cui bisognava dimostrare di essere il più bravo. Certo, era stato un piano ben congeniato, ma il suo utilizzo era stato convertito al male, come quasi tutte le grandi opere umane.
Qualche giorno fa, gli aveva suggerito di abbandonare gli istinti umani, se voleva scoprire la verità senza esserne influenzato. Eppure ora, Joe mostrava ammirazione, la stessa ammirazione che tutti provano verso un gran progetto, ignorando che esso possa portare al male di molti. Probabilmente, il fatto che sarebbero stati arrestati concedeva a Joe di poter emozionarsi di fronte a tale capolavoro. Quindi lasciò che la faccenda fosse conclusa, prima di tirare i giusti dalla parte giusta.
Inoltre, c’erano ancora delle cose da chiarire.
“Scusatemi, ma se avete usato le chiavi per entrare e la finestra per uscire, a cosa vi servita l’asse di legno?”.
“A nulla – rispose sicuro Joe – In realtà non è stata usata alcuna asse. Quei segni sul muro e sulla porta c’erano già, dai lavori fatti in casa. Come avevamo ipotizzato”.
“Quindi quel vecchio antipatico ci ha mentito!”.
“Chi? – intervenne Mattew – Il ferramenta? È stata una grande impresa teatrale, quella!”, si complimentò coi compagni.
“Una messa in scena? Dite sul serio? Tu lo avevi capito, Joe?”.
“Certo! Che fosse stato compiuto da uomini o alieni, il piano era preciso nei minimi dettagli e ogni segno del loro passaggio era stato accuratamente eliminato. Era perciò improbabile che si fossero dimenticati la vite, se non per sviare le indagini. Certo, andava in contrasto con la teoria dell’alieno, ma era stato fatto proprio per coloro che non avrebbero preso in considerazione tale ipotesi”.
“Non potrebbe essere semplicemente caduta durante la fuga?”.
“È possibile, ma quando ho provato ad inserire la vite nei buchi del muro, essa non combaciava. I buchi erano troppo grandi. Quindi: non era servita per fissare l’asse e non era stata usata durante i lavori. Soluzione: un indizio per la strada sbagliata!”.
Mattew non poteva fare altro che confermare la versione di Joe. Volse lo sguardo verso i compagni con volto compiaciuto. Erano stati incastrati, questo era evidente, ma da qualcuno che sapeva fare il suo lavoro, ed anche bene!
“Quindi il ferramenta, raccontando di loro, ha fatto solo il loro gioco. Ma non avevano considerato la possibilità che fornisse i loro identikit, come, infatti, è avvenuto?”, chiese Giangi.
A quella domanda, Mattew sussultò e si rivolse ad uno dei suoi amici.
“Ti avevo detto che bisognava entrare mascherati!”.
“Ma avremmo dato più nell’occhio così. E poi l’idea è stata tua!”.
“La mia idea era proprio di creare più rumore possibile, stupido!”.
“Non litigate! – gli consigliò Joe – tanto gli identikit non sono serviti allo scopo. Non più di tanto, considerando la tua ragazza. Adesso non ha alcun senso avere ripensamenti. Non ora che avete una storia da raccontare”.
“Già. Avevamo deciso comunque di costituirci. Non potevamo tenere questa cosa dentro… A qualcuno dovevamo dirla, anche a costo di finire in galera”.
“Così avete ammesso il delitto per raccontare la vostra storia. Un movente inutile crea un delitto così orrendo!”, disse Giangi, contrariato verso i ragazzi. Con quelle parole, probabilmente, cercava anche di guadagnare l'ammirazione di Joe.
“Volevamo comporre una canzone! Ti sembra un movente inutile?”.
“E per la precisione, non si sono costituiti. Volevi sapere dove mi trovassi ieri? Ero qui. Ho fatto delle domande in giro e ho scoperto questo luogo. Avevo con me la pistola, ma non l’avrei usata contro dei ragazzi”.
“Tu lo sapevi che erano qui?”.
“L’ho immaginato. Se ero qui, comunque, era solo per trovare qualche indizio utile”.
“E sai perché lo hanno fatto?”.
“Si, ma lascerò che saranno loro a raccontartelo”.
Giangi guardò verso Mattew. Era curioso di sapere il motivo che aveva dato vita a tutta quella storia. Voleva sapere cosa spingeva dei ragazzi ad uccidere per un sogno. Era pronto ad ascoltare quella che Joe aveva descritto come “la cosa più straordinaria di tutta la faccenda”.
“Se hai parlato con la mia ragazza, sicuramente saprai della nostra passione per la musica. Fu per questo motivo che nacque il gruppo, tanti anni fa. Immaginerai la nostra gioia quando riuscimmo nell’intento. Eravamo felici, fino a quando, a qualcuno di noi, venne la folle idea che avremmo avuto più successo se l’avessimo tradotta in inglese. Le canzoni straniere sono agli apici della classifica e là vedevamo la nostra opera. Non era una cattiva idea, in fondo.
Non pensammo ai nostri professori. Non volevamo diffondere troppo la notizia. E poi era difficile dialogare con persone che erano nervose perché da tanto tempo marinavamo la scuola. Ci voleva qualcuno che conoscesse bene l’inglese, che l'avrebbe tradotta al meglio per noi. Così pensammo: l’unico posto dove trovare stranieri di tutto il mondo è l’aeroporto!
All’inizio pensammo di essere stati fortunati quando incontrammo loro e decidemmo di cambiare piano. Un’altra idea folle, ma tanto, tutte le grandi cose nascono sempre per idee del momento e cambiano, in bene o in male, le nostre vite. Ma non ha senso pensarci su… oramai siamo qui!”.
“Chi erano loro? E cosa decideste di fare?”, chiese Giangi, rapito da quel racconto, impaziente come un bambino in attesa della favola della buona notte.
“Pensammo di dar loro la nostra canzone, a patto di citarci sul loro prossimo disco. Non erano molto famosi all’epoca, ma lo sarebbero diventati. E noi con loro, per avergli dato il gran successo della loro carriera. Chi avrebbe acclamato dei ragazzi di paese? A loro, sì, li avrebbero acclamati!; e metà dei loro fan avrebbero chiesto a noi gli autografi”.
“Devi sapere, Giangi, che le loro idea era buona, salvo poi scoprire che tipo di persona era il loro manager”, spiegò Joe.
“Già. Quel brutto tipo non gli fece mantenere la promessa. Sapeva che la nostra canzone sarebbe stato un successo e temeva che, dopo, avrebbe dovuto pagarci molti soldi per i diritti. Fece passare del tempo dall’uscita del disco e quando ciò accadde, ci accorgemmo dell’inganno. Abbiamo aspettato a lungo, molto a lungo, per organizzare il piano. Ci saremmo vendicati. Credici: dovevamo farlo!”.
Passarono alcuni minuti di assoluto silenzio e, adesso, nemmeno Joe, osava pensare a  cosa dire. Solo Giangi fece una domanda, banale, quanto giustificata. Era il solo a non saper di cosa si parlava. Con un nodo alla gola, per l’emozione e per la timidezza, aprì la bocca a fatica e chiese:
“Quale era la canzone?”…
Il giorno seguente il sole splendeva alto nel cielo e illuminava tutta la città. Come rinata, si vedevano persone girovagare per le strade. I colpevoli erano stati arrestati, il terrore dell’alieno era finito e nessuno voleva ricordare quella brutta storia. Erano usciti da un incubo e, per il futuro, avrebbero pensato a tutt’altro.
Chi non avrebbe dimenticato, erano i due eroi che, come sempre, non avrebbero avuto alcun merito per ciò che avevano fatto. Per la cronaca, la polizia cittadina aveva provveduto alla cattura dei colpevoli e alla loro scoperta. Joe c’era abituato, mentre Giangi rimase un po’ a bocca asciutta, vedendo dei giornali che raccontavano della storia, senza citare i loro nomi.
Avevano parcheggiato l’auto e, sul marciapiede, in mezzo a tanta gente, entrambi pensavano. Joe era appoggiato all’auto ed osservava con insistenza un negozio di dischi.
“Perché non me lo hai detto?”.
“Cosa?”, chiese Joe, spostando lo sguardo su Giangi.
“Perché non mi hai detto che eri andato là, quella sera?”.
“Avevo bisogno di stare da solo e pensare. Quello era il luogo adatto”.
“Sempre perché rispecchia il tuo lato interiore!”, commentò con serietà.
“O perché, in quel momento, la cava mi dava lo stato d’animo adatto a non pensare”.
I discorsi filosofici non erano per Giangi. Non li capiva.
“Lo sapevi che il signor Tyler era stato…”.
“…Un manager di un gruppo tuttora famoso? No. Ma sapevo che quello era il suo lavoro. All’inizio non mi ero posto tale domanda. Poi mi sono ricordato che sapere della vita sociale della vittima può indicarti la strada più veloce per arrivare al suo assassino. Gestiva per le band i rapporti con le società e le case discografiche. È un bel lavoro”.
Giangi capiva poco di vita sociale, indagini e delitti. Sapeva leggere negli occhi del suo collega e quali erano le sue intenzioni, ma in cuor suo, sperava si sbagliasse.
“I giornali non riportano la storia che ci hanno raccontato loro, vero?”.
“No. Ho voluto io che la notizia non trapelasse”.
“Perché? La gente ha il dovere di sapere!”.
“La gente non ci crederebbe. È una storia troppo strana perché sia creduta. E poi ci sono forze in mezzo che farebbero di tutto per non cambiare le cose. Lascia perdere: alla gente interessa solo aver chiuso in carcere il colpevole. Non sono pronti per cambiare le cose. Non accetterebbero questa novità troppo facilmente”.
Giangi scuoteva la testa. La cosa gli era poco chiara.
“Per farti capire, i ragazzi mi hanno dato questo CD. Quando lo ascolterai, capirai di cosa sto parlando”.
“È la canzone, vero? La canzone che avevano composto loro!”.
Joe si limitò ad abbassare lo sguardo, socchiusi gli occhi. Giangi pensò stesse per piangere e lo comprendeva, pur ignorando la canzone. Una verità, un cambiamento nella vita di ogni uomo è duro da essere accettato. Se poi esso coincide con i propri idoli, è ancora più difficile.
Le macchine e le persone sfrecciavano vicino ai due agenti, non curanti di cosa stessero dicendo. All’interno del negozio di dischi c’erano tanti ragazzi che sentivano la musica. Joe si collocò sulla soglia e guardò nuovamente Giangi. Inserì il CD in un lettore e premé il tasto d’avvio. Quando tornarono in auto, l’amarezza sul viso dell’amico era evidente.
Non dissero una parola, fino a quando Giangi s’accorse che c’era qualcosa che “mancava” in tutta quella storia, qualcosa di cui non avevano parlato, dopo aver scoperto i veri colpevoli. Non avevano trovato “L’Alieno”! Eppure era per quello che Joe aveva tanto lottato, scoprendo alla fine che si trattava solo di un “banale” omicidio.
“Non ti vedo tanto turbato – chiese, una volta seduto in auto, abbattuto dalla musica che ascoltava – Eppure non abbiamo trovato quello che cercavi: un prova della Loro esistenza”.
“Non ho bisogno di prove tangibili per credere. Ci credo e basta. Una prova darebbe certezza alle mie supposizioni, questo è vero. Ma non importa: vorrà dire che continuerò a guardare le stelle!”.
Dietro le loro spalle, da dentro quello stereo, in mezzo al via vai di gente sempre più frenetico, viaggiavano dolci le note della canzone “We are the champions” dei Queen.
« Ultima modifica: 13 Gennaio 2007, 21:41:13 pm da Joe McFly »
Cosa c’è da dire sul bisogno di morire?
Hai detto qualcosina che gironzolava nella testolina
e, in fondo, non sei cambiato quando il mondo se n’è andato.
C’è soltanto da ribadire che non tutto deve finire
e rimane da  scommettere
che la vita è anime da mietere.[

Offline Manfry

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Che fine ha fatto Joe McFly?
« Risposta #5 il: 16 Gennaio 2007, 20:01:37 pm »
Me la sono letta lunedì in treno... come promesso... comunque devo dire meraviglioso!!!!!
ottima storia e splendido finale. Si intravede il tuo ottimo stile, le pillole di saggezza inserite, i colpi di scena... ecc

interessante anche la canzone, che diventa quindi il movente dell'assasinio... che tra l'altro... dice:

Citazione
I've paid my dues -
Time after time -
I've done my sentence
But committed no crime -
And bad mistakes
I've made a few
I've had my share of sand kicked in my face -
But I've come through

We are the champions - MANFRE
And we'll keep on fighting - till the end -
We are the champions -
We are the champions
No time for losers
'Cause we are the champions - of the world -
MANFRY

Non esistono né pregi né difetti, ma solo caratteristiche che ci rendono unici.

Offline Young dreamer

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Che fine ha fatto Joe McFly?
« Risposta #6 il: 17 Gennaio 2007, 16:07:24 pm »
Ma che bello!!!L'ho letto tutto d'un fiato!E poi mi ha tremendamente e tristemente addolcita il finale!!!Bravo! ;)  
E dopotutto ci sono tante consolazioni! C’è l’alto cielo azzurro, limpido e sereno, in cui fluttuano sempre nuvole imperfette. E la brezza lieve […]
E, alla fine, arrivano sempre i ricordi, con le loro nostalgie e la loro speranza, e un sorriso di magia alla finestra del mondo, quello che vorremmo, bussando alla porta di quello che siamo.
(Fernando Pessoa)       Blog: http://sogna-ragazzo-sogna.blogspot.com/

Offline Joe McFly

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Che fine ha fatto Joe McFly?
« Risposta #7 il: 21 Gennaio 2007, 17:33:10 pm »
Mi fa piacere che vi sia piaciuto, davvero! E, poi, ho pensato che è brutto lasciare la serie in sospeso... Chi è che si sta chiedendo (o si è chiesto) come evolveranno gli avvenimenti tra Joe e Giangi???  ;)
« Ultima modifica: 22 Gennaio 2007, 23:24:56 pm da Joe McFly »
Cosa c’è da dire sul bisogno di morire?
Hai detto qualcosina che gironzolava nella testolina
e, in fondo, non sei cambiato quando il mondo se n’è andato.
C’è soltanto da ribadire che non tutto deve finire
e rimane da  scommettere
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