Ragazzi vi avverto, l'ho riletto un sacco di volte ma c'è qualcosa che non torna...bhà...probabilmente lo rifarò ma l'idea era più o meno questa che ho buttato giù^^
Siate cattivi, perché è dalle critiche che imparerò a scrivere bene^^ Grazie!!!!!!^^

Prologo
-Trasformazione-
Respiravo a fatica. I polmoni erano schiacciati e non riuscivano ad espandersi completamente. Ansimavo.
Con le unghie raspavo nel terreno strappando senza contegno zolle di fango e erba. Urlavo, ma nessuno mi sentiva nel fitto della foresta.
La battaglia era stata una delle più cruente a cui avessi mai assistito: mio padre, comandante dell’esercito, era morto per mano di Laux di Wirmenosius capo delle forze nemiche dei Cavalieri di Torck. Molti dei nostri amici erano deceduti e il sangue era sparso ovunque in quella piccola radura dove ci avevano lasciati sofferenti in attesa della morte avvenire. I tronchi degli alberi erano intrisi di rosso e il fuoco che avevano appiccato i Cavalieri, scoppiettava alle mie spalle.
Qualcosa mi aveva colpita e come i miei parenti ero distesa sulla terra umida che mi accoglieva come una sua figlia. Ogni movimento che cercavo di fare mi provocava una terribile fitta al centro del ventre che mi faceva nuovamente tornare agonizzante sul suolo duro e aprendo leggermente gli occhi la vidi: la spada di Laux conficcata nel mio corpo. La lama argentea sottilissima dallo spessore di un crine di cavallo, mi passava da parte a parte. L’incurvatura della spada era perfetta e la linea nera di polvere di vulcano ne decorava i contorni facendoli brillare ai raggi del sole. L’impugnatura era elegante, dalla linea morbida ed era impreziosita da filigrane nere, anch’esse di polvere di vulcano. Era bellissima. Sarebbe stata l’ultima cosa che avrei visto, l’ultima cosa che mi sarei ricordata di quella vita che non mi apparteneva.
Pur avendo il ferro che mi lacerava internamente, non sentivo quel dolore che mi avrebbe fatta morire. O almeno non pensavo che la morte fosse così piacevole.
Rividi alcuni momenti della mia infanzia: il villaggio dove vivevo felice con la mia famiglia, le lunghe passeggiate a cavallo con gli amici, le storie fantastiche che mio padre mi raccontava e poi vidi lui. Zyphrian Hamor, l’unico ragazzo di cui mi ero innamorata. L’unico che mi aveva accettata per quello che ero. Stavamo per partire per il nostro viaggio di unione, io e lui, quando il comandante ci diede la notizia della guerra imminente. In pochi giorni tutto andò in fumo.
Zyphrian ebbe il compito di radunare tutti i cittadini e portarli in salvo sulle Montagne Altari a nord della contea, io invece fui condotta al fianco di mio padre come vice comandante delle truppe.
Da quell’attimo non vidi più la ragione della mia esistenza. Tutto si appannò. In testa avevo solo il massacro che presto avrebbe dimezzato il primo battaglione scelto. Mio padre era concentratissimo e nel luogo di scontro aleggiava un silenzio inquietante.
Il respiro dei cavalli, il fruscio del vento, le armature che scricchiolavano erano i soli suoni che riuscivamo a percepire. Nient’altro. La tensione saliva, sapevamo del pericolo di un’imboscata e ci guardammo alle spalle molte volte. Poi apparvero dal perimetro meridionale della foresta. Il primo fu Laux, seguito dai suoi fratelli Valizer e Saregon, e infine scesero le loro numerosissime truppe.
Era la fine.
Un lieve rumore proveniente dalla mia destra mi fece sobbalzare e la lama si staccò dal terreno consumato dalle mie unghie. Balzai in posizione di attacco strappandomi con tutte e due le mani la spada dal corpo ed emettendo un urlo di dolore che avrebbe fatto scappare la selvaggina nel raggio di un chilometro abbondante.
La spada nella mia mano, pesava. Mi sentivo potente, forte. Ero invincibile. I miei occhi brillarono riflessi sulla lama e un sorriso compiaciuto si dipinse sul mio viso.
La mia armatura era stata fatta a pezzi e potevo osservare la pelle del mio petto, pallida e fredda cosparsa di sangue. Dal lungo taglio al centro esatto sotto il diaframma, sgorgava ancora il liquido cremisi e pulsava vivo come lo ero io. Passai un dito sopra la ferita e quella, incredibilmente, sparì.
Con gli occhi spalancati guardai più volte la parte che era stata perforata e non trovai neanche una sottilissima cicatrice.
Ero emozionatissima ed eccitata da questo potere che possedevo.
Il cielo era nuvoloso, buio e carico di pioggia, io invece ero felice… per essere ancora viva. Le nuvole divennero una leggera foschia e dopo alcuni secondi si dissolsero con il vento. Mi chiesi se anche quella fosse stata opera mia o della spada…
Certe storie che mio padre raccontava ai bambini del villaggio, parlavano proprio di quell’arma che tenevo stretta nel pugno destro e lui diceva che quella possedeva strani poteri magici di cui nessuno sapeva l’origine:
“Il potere cambia in base al guerriero che la possiede, certi raccontano di saper leggere nel futuro, altri di esser capaci di tornare indietro nel tempo e altri ancora di controllare il destino delle persone…”, la voce di mio padre risuonava nella mia testa come se lui fosse accanto a me.
“…ma chi è destinato alla spada, non può rifiutarsi del grande dono che gli è stato dato. Laux se n’è impossessato vigliaccamente durante una battuta di caccia ecco perché lui non ha particolari poteri. Solo chi è puro spiritualmente, chi ha il cuore fiero di un’aquila e chi ha il coraggio di un lupo può cogliere tutte le diverse facciate di quell’arma misteriosa…”.
Il rumore, questa volta proveniente dal cielo, era l’imitazione perfetta di un battito di ali possenti.
Alzai gli occhi e un Dragone delle Rocce passò sopra le cime degli alberi mordendo i fusti e sradicando le radici di quello più vecchio. Cadde a terra e la chioma attutì lo schianto.
Il Dragone mi guardò in volo e poi proseguì per la sua strada… verso il mio villaggio. Stava andando ad uccidere i miei cari, i miei compagni, la mia vita. Qualcosa nella testa mi scattò e sentii il dovere di fermare quella creatura, di inseguirla e bloccarla. Iniziai a correre attraverso la radura, passando lo spiazzo ricoperto dai corpi sconfitti, poi mi infiltrai nella vegetazione in direzione Nord sviando tra i tronchi ad una velocità non umana. Vedevo ogni dettaglio intorno a me come se stessi osservando da vicino un solo elemento alla volta. Poco dopo ero già fuori dai confini della Grande Foresta e in lontananza riuscivo a scorgere i contorni delle casupole del mio villaggio.
Il Dragone girava in tondo sopra le nuvole e vedendomi così vicina emise un ruggito terrificante accompagnato da una lingua di fuoco dalle punte dorate. Sbattè le ali e mi venne in conto scendendo in picchiata.
Sapevo che non sarei stata più la stessa ragazzetta priva di importanza dal momento che avevo preso parte alla prima battaglia. Ero di certo stata trasformata dalla spada: la velocità, la vista, la forza erano tutte qualità che possedevo ma non in maniera così elevata.
Sentivo bruciare di euforia i miei nuovi occhi, aspettavo il momento giusto per colpire...
Strinsi con le mani il pomo della spada portando la lama davanti al volto e mettendomi in posizione di difesa…
“Non sarò un comandante, non sarò un capo villaggio… sarò una guerriera…”
Il Dragone spalancò le fauci a pochi metri da me. Saltai in alto una decina di metri e atterrai sul collo immenso della bestia che si agitò cercando di disarcionarmi. Il ferro brillò. Alzai il braccio con cui lo tenevo stretto e rividi mio padre combattere per la sua ultima volta. Catturai la sua volontà, il suo modo di combattere, la sua ira e la sua sofferenza e li scagliai con tutta me stessa nella giugulare del drago.
Scesi balzando a terra e l’animale gemette dal dolore, lo stesso dolore che altri suoi fratelli avevano fatto provare al villaggio: gli attacchi repentini di quelle bestie avevano fatto soffrire molti avi e da quel giorno in poi, nessuna creatura avrebbe più fatto del male alla mia gente.
Si accasciò a terra, richiuse le ali a se stesso e morì chiudendo le palpebre dei grandi occhi squamati.
Il mio destino era un groviglio di sentieri tortuosi e non potei evitare i doveri passati per discendenza: ero diventata capo del villaggio e comandante dell’esercito, senza escludere che la spada mi aveva conferito strani poteri di cui non ero riuscita ancora a capirne bene l’identità.
Lasciai l’animale sdraiato sulla collina e mi avviai verso il villaggio senza guardare indietro.
Il rombo dei tuoni mi seguiva fedele e alle mie spalle il cielo ero tornato terso e cupo.
Sapevo quello che dovevo fare e sapevo come lo avrei fatto. Avrei onorato mio padre e in nome di tutte le divinità, non sarei crollata al primo ostacolo.
Ero una guerriera. Una Cacciatrice di Leggende e lo sarei stata fino a quando la spada me lo avrebbe concesso…