Il treno è già pronto sulle rotaie, si fermerà lì per dieci minuti, lascia il tempo a tutti di sistemare i bagagli sopra i sedili, negli scompartimenti, e di salutare i cari e gli amici. Io saluto te, Ben, e me ne vado da dove sono venuta. Il vento sibila, nessuno lo sente, sono tutti impegnati a fare altro, sento urla, il fischio del treno in arrivo sull’altro binario, una signora mi urta lo zaino che tengo sulle spalle, Ben, i tuoi occhi ora piangono, non ho mai visto un uomo piangere, Ben, non piangere. Io non sto piangendo. Vedi che non sto piangendo? Sono un piccolo punto in mezzo a tanti altri punti. Mi dimenticherai. Guarda quel barbone, forse sta scegliendo il suo letto di stanotte, una fredda panchina umida, dove qualche ragazzino avrà sputato la sua chewingum, Ben, non piangere. Il buio sta calando, guarda, le luci degli scompartimenti sono tutte accese, sarà già notte quando sarò arrivata in città, e tu? Cosa starai facendo allora? Saremo lontani quando invece solo poche ore prima eravamo ancora insieme, e ci tenevamo per la mano. No, Ben, non guardarmi così, lascia andare la mia mano, è calda, lo so, è liscia, le unghie sono rosse, i miei capelli neri, lunghi, i miei riccioli ribelli, Ben, io ti sento ancora, sento che ci sei, che sei qui con il cuore e con la mente, io ti sento ancora. È così, non è vero? Ci sei, eh, Ben? Dimmi che ci sei. E sento le tue braccia intorno al collo, le tue mani che mi accarezzano, il tuo corpo stretto al mio, nel cuore della notte, quando non riuscivamo a dormire, e la tua bocca parlava dell’avvenire, diceva parole incomprensibili, Ben. Non c’è un avvenire di cui si possa parlare con così tanta certezza, anche se lo vorrei, Dio come lo vorrei. Non ti ho rifiutato, e nella mia durezza, nella mia cattiveria, vedici un po’ di paura, di angoscia, vedici un poco d’amore. Oh, Ben, hai smesso di piangere, mi lasci la mano. Il treno è stato annunciato, è meglio che vada adesso, salgo le scale, non piangi più, Ben? Non piangi più? Ti voglio così tanto bene.
Il treno parte piano e guardo dal finestrino. Un’ombra mi saluta, e scompare nella luce di un lampione, nella stazione dell’addio. Ora sto piangendo io.