manco dal forum da tanto tempo
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ma non ho mai smesso di venire a curiosare ogni tanto....ora volevo pubblicarvi una prima bozza di questa idea che ho avuto...una serie di racconti brevi tratti dalla mia esperienza personale di studentessa fuorisede con tutte le divertenti e uniche disavventure che accadono ogni giorni rivisate in chiave (spero) comica...questo è il primo episodio che ho scritto, un capitolo x diciamo...buona lettura
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(potrebbe sicuramente esserci qualche errore di punteggiatura etc perchè l'ho scritto di getto)
CAPITOLO X: IL LAVANDINO
Esattamente non ho la più pallida idea di come si chiami. E’ un attrezzo metallico, una sorto di grata, posto in corrispondenza dello scarico del lavandino, atto a raccogliere i residui di cibo e quant’altro che altrimenti andrebbero ad ingorgare il suddetto scarico. Credo che sul vocabolario la definizione sia più o meno questa…all’incirca, più o meno quasi. Ora il punto è che nella casa dello studente fuori sede questa definizione vale in parte poiché suddetto aggeggio, indefinibile innominato, assume due diverse funzioni ,o meglio, due diversi utilizzi. Il primo è appunto quello di raccogliere schifezze varie in modo tale che la brava massaia padrona di casa, preso l’aggeggio e svuotatolo del suo maleodorante contenuto nel cestino, possa impedire allo scarico di ingorgarsi. Il secondo invece è che la non tanto brava massaia (dicesi altresì studentessa fuorisede) lasci nel lavandino l’oggetto strapieno di ogni qualsivoglia schifezza e continui imperterrita a lavare allegramente i piatti. Ora il risultato di codesta brillante operazione mi è apparso agli occhi (o meglio dire al naso) questa mattina (in realtà era mezzogiorno, però nel vocabolario dello studente fuorisede per definizione mattina è tutto ciò che sta prima della “colazione”). Puzza direi che è un eufemismo. Olezzo?...mmm, no sa troppo di cosa ancora non abbastanza maleodorante…terribile e nauseabonda puzza di cibo marcio forse è più appropriato. Ecco, immaginate voi di aprire la porta della camera, entrare affamati e ansiose di tuffare squisiti biscotti al cioccolato in un bellissimo bicchiere stracolmo di bianchissimo latte, ed essere travolti da un odore del genere. Superato il primo momento di sbandamento inizierete a vagare per la cucino a mo’ di segugio seguendo con ammirevole coraggio la scia della terribile puzza per ritrovarne la causa. E la scia, inesorabilmente vi condurrà lì, proprio lì dove voi temevate che vi avrebbe condotto (in realtà forse se la puzza proveniva dal frigo o dalla dispensa dove voi conservate i vostri preziosi viveri forse era peggio ma vabbè…). Lo spettacolo a quel punto sarà questo: il lavandino trasformato ad una pozza di acqua scura in cui galleggiano alternativamente pezzi di cibo non ben definito e cumuli di schiuma residui dell’ultimo lavaggio. Quindi vi farete coraggio, prenderete un qualsiasi oggetto utile (che poi ovviamente lascerete in ammollo nell’amukina per circa tre o quattro..giorni. Ovviamente non userete le mani perché poi dovreste tenere in ammollo nell’amukina anche quelle) e lo immergerete nella brodaglia nel tentativo di estrarre la causa dell’ingorgo…proprio lui, quell’aggeggio che l’ingorgo avrebbe dovuto evitare!
Ecco, esattamente questo è successo questa mattina. E, mentre il lavandino ingoiava impavido il suo contenuto emettendo degli inquietanti suoni del tutto simili ad un rutto come a dire ironicamente “mmm…che buono!”, ho incominciato a pensare. “la mia spugna…quella bella è pulita spugnetta che utilizzo per lavare le mie cose e che poi ricordo sempre di riporre diligentemente in camera per evitare che qualcuno magari la utilizzi per pulire la tazza del water, convinto che fosse la spugna per pulire la tazza del water, adottando come scusa un laconico “eh vabbè ma so tutte uguali ste spugne”. “si proprio quella…ma non è che…”. Ed è proprio allora che l’ormai ex candida spugnetta emerge dall’acqua fetida come un relitto rimasto a secco dopo il calare della marea.