Gli scarponi lasciavano tracce leggere sul fine pietrisco della mulatiera,i tornanti si susseguivano con ripide curve e io salivo,lo zaino pesava sulle spalle,i suoi spalloni incidevano solchi sulla pelle bruna segnata dal sole. Di tanto in tanto sollevavo lo sguardo sui crinali delle montagne che si presentavano davanti e lentamente si abbassavano sul filo dell'orizzonte. Un frullo di ali improvviso rompeva quella melodia del silenzio sparendo velocemente nel canalone che ripido scendeva a basso. Finalmente la cresta,guadagnata velocemente sulla quale il sentiero spariva,solo rocce più o meno affilate ne segnavano il cammino,al di qua e al di la solo fianchi scoscesi che annegavano nei lontani ghiaioni. Ancora poco poi il rifugio si sarebbe presentato con il suo rivestimento di legno corroso dalle intemperie e dal suo piccolo camino in ferro ricavato da un umile tubo da stufa. Eccolo,a pochi metri seduto su un masso trascinato dal ghiacciaio c'era lui,Camillo,che attendeva paziente il mio arrivo. Un cappellaccio posato sui capelli neri come le piume delle cornacchie che ogni tanto venivano a fargli compagnia,due sopraciglia cespugliose quasi nascondevano uno sguardo fiero e attento,la pipa fra i denti dissimulava un sorriso appena accennato,il tutto incorniciato da una folta barba naturalmente incolta. Lo osservavo avvicinandomi e lui pure ricordando le mie maracchelle in alta quota. Si alza a ricevermi,mi tende una mano forte dalla pelle lavorata dalle rocce e dal tempo,l'altra si appoggia sulla spalla,ciao,come stai,bene,non cambi mai,vieni il minestrone è in tavola.