Oggi c’è il sole, si sento che ci sarà, sono passati vent' anni dal disastro. L’immensa coltre di nubi che oscurava il cielo oggi sì è dissolta, ne sono sicura.
Siamo chiusi in questa specie di tomba di acciaio a 20 metri sotto il suolo, io e i miei genitori. Non me lo ricordo più bene cosa è il sole, o meglio, conservo solo alcune sensazioni velate dal tempo, ero piccola, troppo piccola per capire quanto importante fosse quella calda carezza che si posava sui miei capelli dorati, sulla mia pelle diafana, che mi sfiorava le braccia magre che spuntavano dalle manichette corte del vestitino della domenica. Alcune volte cercavo un impossibile contatto visivo, cercavo di osservare quella immane palla di fuoco guardandola di sottecchi. La mamma me lo diceva sempre “Non fissare il sole, ti bruci gli occhi, diventi cieca…”, ma io la prendevo come una sfida, sono più forte di lui, non vuol farsi guardare? E io invece riuscirò a guardarlo.
E’ successo tutto così in fretta, stavo giocando con la mia bambola, indossava un costume a strisce e l’avevo sdraiata su di un piccolo asciugamano posato sul prato di casa mia. Prendeva il sole, si abbronzava, anche se la pelle di plastica restava sempre dello stesso colore rosa finto. Una sirena distante, mio padre aveva un ruolo importante non so in quale compagnia statale, sapeva…..La sirena aveva suonato anche nei giorni precedenti e l’aria in casa era sempre più cupa, la mamma non sorrideva più, respiravamo aria e angoscia. Ma io mi divertivo, era un gioco: suonava la sirena e si correva a nascondersi., potevo guardare tutti i cartoni che volevo nel lettore dvd.
Quel giorno la sirena era uno stridio che tagliava il vento, ma non avevo voglia di giocare a nascondino, la mia bambola voleva abbronzarsi e io volevo stare con lei. La mamma mi prese per mano ma io con uno strattone mi liberai “No. Io resto qua, non voglio nascondermi” dissi. Mi prese in braccio senza tanti complimenti, Silvietta, la mia bambola, era rimasta sul prato, cercavo di svincolarmi, volevo prenderla. Penso sia ancora lì, voglio immaginarla com’era con il costume a strisce, sdraiata sopra l’asciugamano adagiato sul prato, è di sicuro lì, immota, nella sua perfetta e statuaria bellezza di plastica.