Nessun regno ti possiede, benchè terrena come il mandorlo,
e come l’uva maturi intrinseca l’ebrezza,
ma i diamanti della luce che t’incorona
raccontano le ere che ti hanno roccificata.
Luce acuta, che per non essere aguzza nei tuoi quarti,
cede al tornio della grazia e sfugge all’etimo delle spine.
Non punge, né trapassa, solo incarna attese,
ma resta bianca sulle ore di velluto scuro.
Quando le stelle appendono il loro rosario luminoso
ai punti cardinali dell’Universo
e la preghiera si fa coro di galassie,
concedi il tuo sguardo alle misere pietre di carne
che lastricano questo sospeso golfo planetario
e per te raccolgono pensieri e muse
perché il tuo velo muti in argine il loro cuore.
M’incanta la tua chiusa voce
che parla la grammatica del mare
disegna un vortice riflesso
forza lo sguardo intenso
e fino in fondo
scavalla nervi e poi mi ruba l’anima.
Luna, Luna!
Così ti muovi augusta
e il tuo incedere arcuato insegna al Tempo
qual è il suo tempo per venirti a cercare.
