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Autore Topic: Riflessioni  (Letto 2251 volte)

Offline Juliet

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Riflessioni
« il: 25 Ottobre 2010, 18:55:21 pm »
È un sabato sera come tanti altri, questo. Forse più freddo e piovoso degli altri, ma non possiede nulla di strano o particolare nella sua essenza. Stasera non sono uscita, non ne avevo voglia. E il tempo di certo non mi ha messo addosso quell’entusiasmo che di solito ho quando mi trovo con i miei amici. Questa volta mi ha gettato dentro solo il desiderio di stare a casa, mettere un po’ di musica e riflettere: ho bisogno di riflettere sulla mia famiglia, sui miei amici; devo riflettere sulla mia vita, sulle scelte che ho fatto, sul mio futuro. Ho rimandato per troppo tempo, ma questa sera sento che è il momento giusto. Scelgo la musica più adatta: per pensare serve una musica rilassante e soprattutto non cantata, perché le parole delle canzoni mi distrarrebbero troppo. Alla fine inserisco nello stereo il cd con le colonne sonore di “Lezioni di Piano”, musiche di Michael Nyman. E poi mi sdraio nel mio letto, chiudo gli occhi e lascio fluire pensieri, emozioni e ricordi. Parto dai miei amici, perché in realtà riguardo alla mia famiglia non ho molto su cui riflettere: sì, è vero, negli ultimi tempi con i miei genitori ho avuto parecchi screzi, ma ora che con Manuel è finita, è tornato tutto a posto anche in famiglia. Anche perché ora mia madre ha bisogno di me. E con mio fratello poi tutto va più che bene: fino a poco prima del suo matrimonio, cinque anni fa, non facevamo altro che litigare; ora, anche se è sposato e vive a venti chilometri da noi, è comunque sempre qui a pranzo e a volte anche a cena, assieme alla moglie, quindi lo vedo più tanto adesso di prima e le discussioni tra noi sono veramente rare. Devo ammettere che inizialmente ero un po’ gelosa di mia cognata: ero abituata ad avere mio fratello tutto per me; lui mi portava al parco, al cinema, a Gardaland; giocava con me, leggeva con me. Poi ha conosciuto lei: io ero una bambina, avevo dieci anni e improvvisamente mio fratello ha cominciato ad uscire tutte le sere per andare dalla fidanzata. Ero gelosa, sì, e molto anche. Ma quando l’ho conosciuta ho cambiato opinione: non era più la vipera che mi aveva rubato il fratello, era semplicemente una donna innamorata di mio fratello, che per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa. E per me ora è come una sorella. E a proposito di fratelli e sorelle, anche tra i miei amici ci sono persone che considero come tali. La nostra compagnia è formata da diciassette persone, nove femmine e otto maschi. Una volta eravamo venti. Già, eravamo. Ma a questo preferisco pensarci più tardi, ora voglio riflettere su ciascuno dei miei amici, uno alla volta. Prendo l’album di fotografie che tengo sotto al cuscino: lo sfoglio, soffermandomi ad osservare ogni ritratto. E mentre guardo quei visi sorridenti, penso alle differenze che esistono tra noi. Differenze prima di tutto nell’età, che spazia dai quattordici anni di Andrea ai ventisette di Mattia. E poi differenze nelle ambizioni, nello stile di vita, nei gusti musicali, nei desideri. E anche nella nazionalità e nella religione: Amit e Nadine stanno assieme da un anno. Lei è egiziana, lui indiano; lei musulmana, lui induista. E proprio la differenza di nazionalità e di religione non permette di rendere pubblica la loro relazione. Nadine ha 17 anni: suo padre le ha permesso di finire le scuole in Italia, ma appena si sarà diplomata dovrà tornare in Egitto per sposare un uomo che non ha mai visto, di cui non ha mai sentito la voce, di cui non conosce il passato e nemmeno sa quanti anni abbia, come si chiami. E la stessa cosa vale per Amit: anche il suo matrimonio con quella ragazza indiana è stato deciso alla nascita di entrambi. Osservo la foto di Amit, con lo stesso sguardo pieno di tenerezza normalmente riservato ad Andrea, il più piccolo della compagnia, quello che io considero il mio fratellino. È un bravo ragazzo Amit, un genio della matematica, che vorrebbe diventare Ingegnere Aereospaziale. Guardando le foto, mi rendo conto che ognuno dei miei amici ha un suo sogno nel cassetto: Lara ha sedici anni, io e lei siamo come sorelle e lei aspetta con ansia di essere operata alle gambe, per poter ricominciare a camminare normalmente; Stefania ha ventidue anni e non smette di sperare di poter cominciare l’università e fare la veterinaria; Sonya vorrebbe guarire dalla terribile malattia che da diciannove anni, da quando è nata, la affligge giorno dopo giorno e la tiene legata ad una sedia a rotelle; Sara vorrebbe tornare indietro nel tempo, rivedere sua madre un’ultima volta, cancellare il litigio che hanno avuto e dirle ancora “Ti voglio bene, mamma”; Anna invece vorrebbe tornare a vivere a Bari, dove è nata e cresciuta; Valeria.. Non so quale sia il sogno di Valeria, non me l’ha mai detto, nemmeno quando eravamo tanto unite da essere inseparabili, ma ultimamente la vedo diversa dal solito: non fa la stupida come al solito con i ragazzi, anzi, si tiene un po’ in disparte, non parla e mi sembra anche dimagrita. Forse ho ragione a pensare che sia davvero cambiata, e comincio a capire quale potrebbe essere il suo sogno nascosto: in fondo è sempre stata solo usata. Non credo che qualcuno, tra i ragazzi con cui è stata, le abbia mai detto un vero “ti amo”. È diventata una donna prima ancora di diventare adolescente, quando il padre se n’è andato di casa e forse è proprio per questo che si è sempre comportata come se non le interessasse nulla di vendersi per niente: è cresciuta senza una figura maschile al suo fianco, che la potesse sostenere e forse è alla ricerca di sicurezza, di un rapporto stabile, di una persona che la ami. Guardo anche le foto di gruppo degli altri ragazzi e penso a loro: a Giovanni, il romanticone, che vorrebbe aprire un negozio di fiori. A Marco che è cotto di Valeria e vorrebbe dichiararsi; a Nicola, di cui amo la simpatia e la sensibilità; a Nadine che adoro, che mi fa sorridere quando arriva agli appuntamenti, si toglie il velo, si lega i capelli, si trucca e si veste “all’occidentale”, cambiandosi in macchina; a Vanessa, anche lei per metà egiziana, ma decisamente molto più libera di Nadine. Penso anche a Michele che giorno dopo giorno prega per la salute di Sonya. A volte mi chiedo, quando usciamo, cosa pensa di noi la gente che ci vede: probabilmente sembriamo un gruppo di ragazzi viziati, che dalla vita hanno tutto, come la maggior parte di quelli che incontriamo camminando per le vie del centro. Guardandoci, invece, mi rendo conto che non siamo quel genere di ragazzi: sì, forse c’è chi arriva con l’Audi del papà come Gennaro o chi ha il cellulare da 800 euro come Mattia, ma siamo ragazzi come tutti gli altri, con i nostri progetti e i nostri sogni, che molti di noi, come Sonya e Sara, non vedranno mai adempiersi, perché sono irrealizzabili. Siamo ragazzi normali, che affrontano i problemi della vita quotidiana, alcuni cresciuti troppo presto, come Valeria, come Nadine, come Amit, altri rimasti ancora un po’ bambini, come Nicola o Gennaro o Marco. Ma del resto la gente che ci guarda cosa può saperne: nessuno di coloro che ci osservano dai marciapiedi, dalle macchine, dalle finestre sa che la mamma di Sara non c’è più. Nessuno di loro sa che a Sonya non rimane molto da vivere, anzi, in realtà è già tanto che a diciannove anni riesca ancora a muoversi, perché la sclerosi multipla non guarda in faccia nessuno; nessuno di loro sa che Valeria ha avuto un bambino, quando aveva sedici anni, dato in affidamento, per “non recare il disonore sulla famiglia”, ha detto suo padre e che pensa sempre a quel figlio, quando di nascosto va a vederlo mentre gioca nel parco o esce dall’asilo, abbracciando la donna che chiama “mamma”. Nessuno conosce queste situazioni: siamo solo un gruppo di ragazzi stupidi, che escono per divertirsi e per bere, perché tanto il sabato sera non hanno null’altro da fare. Una banda di teppisti che poi provocano incidenti in tangenziale perché non sanno moderarsi. Questo siamo per la gente che ci guarda. O forse per alcuni siamo semplicemente un gregge di pecore senza pastore, un gruppo di beduini che hanno perso l’orientamento. Gente senza speranze e senza ambizioni, senza uno scopo nella vita e senza affetti. Forse facciamo anche pena a qualcuno, ma quando sono con loro, con tutti loro, mi guardo attorno, e in questo gruppo di ragazzi vedo l’amore, l’amicizia, la fratellanza. A volte vedo la rabbia e la delusione; altre volte la frustrazione o l’egoismo, ma mai ho visto l’odio, ma ho visto qualcuno prevalere sull’altro. Ed è quando penso a questo, che mi rendo conto del perché, nonostante le nostre diversità siamo così uniti: in fondo siamo più simili di quanto non sembri. Ognuno di noi ha una storia da raccontare, una vita passata di cui forse quasi nessuno conosce i minimi dettagli, ma che in qualche modo ci accomuna. Abbiamo tutti fatto esperienze dolorose, che ci hanno lasciato delle ferite: ma ognuno di noi è riuscito a chiuderle grazie agli altri. E credo sia questo che ci unisce così tanto. A volte mi sento sola in questo gruppo, in cui sono tutte coppie: Amit e Nadine, Anna e Gennaro, Stefania e Mattia, Michele e Sonya, Lara e Nicola, Marco e Valeria, che anche se ufficialmente non sono assieme, è come se lo fossero;  Andrea e Vanessa, che hanno solo un anno di differenza, Sara e Giovanni. Quando esco con loro penso che sono sempre e comunque il terzo incomodo, con chiunque voglia parlare, ma mi sento apprezzata da loro e mai lasciata in disparte. Sfoglio l’album e trovo tre fotografie scattate quando il gruppo era formato da venti persone. Sono i ritratti di due ragazzi e una ragazza, tutti e tre morti. Marco era il mio ragazzo, prima di morire per un’emorragia celebrale. Suonavamo nello stesso gruppo: era bravo con la chitarra, ci sapeva fare. Vanitosamente si definiva il nuovo Joe Satriani. Sono passati quasi due anni dalla sua morte, ma ancora penso che, sinceramente mi manca. E rifletto spesso sul fatto che forse, quando mi sono messa con Manuel, pensavo di poter ritrovare in una nuova relazione quello che avevo perso con Marco. Ma non è stato così. In realtà, lui mi aveva lasciata, pochi mesi prima di morire. Per due motivi, tra cui l’avermi tradita con Valeria. Al secondo motivo nemmeno voglio pensare, un tradimento più grave ancora, che però sono riuscita a perdonare. Del resto portare rancore non sarebbe servito a nulla. E poi c’erano anche Nicholas e Jessica; lei era una delle mie migliori amiche. Ho cercato di starle il più vicino possibile, durante l’anno in cui ha sofferto di una grave depressione che l’ha portata poi al suicidio. Ma visto l’epilogo della storia, evidentemente non ho fatto abbastanza. O forse semplicemente non potevo evitare che accadesse. Non lo so. Nicholas invece è morto a causa dei suoi problemi cardiaci. Quando penso a loro tre, Marco, Jessica, Nicholas, penso che forse loro sono un altro motivo per cui il gruppo è così unito: credo che sia considerato un modo come un altro per averli ancora qui con noi. In effetti per un lungo periodo di tempo non siamo più usciti assieme: non ce la sentivamo. Poi una sera abbiamo deciso di fare una rimpatriata e ci siamo resi conto che a tutti era come se in quei mesi fosse mancata una parte di vita, un pezzo di se stessi. Nelle fotografie siamo tutti felici, tutti abbiamo un sorriso ben stampato sulle labbra, ma mi chiedo quante volte quei sorrisi sono stati solo una finzione, una parvenza di realtà. Mi chiedo quante volte in ciascuno di noi hanno abitato i fantasmi di una delusione, di una scelta sbagliata, di una storia finita male. Mi chiedo quanto ho ancora da imparare sui miei amici. Riguardo i loro volti: anche nelle fotografie vedo le ombre del passato, della preoccupazione e della solitudine che si aggirano nei loro occhi. Ma mai nessuno di loro è caduto senza essere aiutato a rialzarsi, mai nessuno di loro si è sentito abbandonato. E nemmeno io. È come se fossimo parte di una famiglia: ci sono stati litigi, discussioni, anche per motivi seri, come tra me e Valeria, ad esempio. Ma la cosa bella di questi ragazzi, molti dei quali cresciuti da soli, “per strada”, senza la guida dei genitori, è la capacità di amare sul serio, di perdonare fino in fondo. La cosa bella di questo gruppo di pazzi è di credere ancora in se stessi e negli altri. La cosa bella è che hanno ancora la capacità di credere nei loro sogni.

"L'effetto trigger" esiste,ma nessuno può dimostrarlo.Perchè nessuno è immune da esso.Tutti abbiamo rimosso dalla nostra mente una brutta esperienza.E allora come sappiamo che esiste davvero?Provate a chiedere alla vittima di una guerra,di un abuso,di una violenza e scoprirete che non sto mentendo.Perchè un viaggio nella mente umana è come un viaggio all'inferno,nel più profondo degli incubi..Anzi, peggio!

Offline Alamuna

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Re: Riflessioni
« Risposta #1 il: 25 Ottobre 2010, 21:31:06 pm »
Sono sinceramente commossa e ti stimo, cara Juliet.
Fanno bene queste riflessioni, ogni tanto.
Nel gruppo di amici di cui parli si racchiude tutto il mondo, ognuno con una storia, ognuno con un sogno, ognuno parte di una stessa dimensione seppur percorrendo ciascuno una strada che in realtà è diversa.
Stai maturando sempre più nei pensieri, anzi credo che tu fossi già abbastanza matura di tuo, lo sei nell'anima, l'età ti regalerà solamente tante altre esperienze da cui imparare e con cui migliorare ancora di più quello che hai già, da sempre, dentro di te.
Ti abbraccio forte.  :-)
Go as far as you can see, when you get there, you'll be able to see further. (T. Carlyle)

Offline Juliet

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Re: Riflessioni
« Risposta #2 il: 26 Ottobre 2010, 17:25:46 pm »
Ora però quella commossa sono io!  (LOL)

grazie Alamuna! un abbraccio anche a te!
"L'effetto trigger" esiste,ma nessuno può dimostrarlo.Perchè nessuno è immune da esso.Tutti abbiamo rimosso dalla nostra mente una brutta esperienza.E allora come sappiamo che esiste davvero?Provate a chiedere alla vittima di una guerra,di un abuso,di una violenza e scoprirete che non sto mentendo.Perchè un viaggio nella mente umana è come un viaggio all'inferno,nel più profondo degli incubi..Anzi, peggio!

Offline Fabykiss

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Re: Riflessioni
« Risposta #3 il: 26 Ottobre 2010, 21:41:33 pm »
Che bella questa riflessione...profonda e molto vera,dettata dagli occhi dell'anima...
 :-*
Il dolore è una terraferma.La gioia è errabonda.
A.Merini

Offline Juliet

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Re: Riflessioni
« Risposta #4 il: 27 Ottobre 2010, 16:04:35 pm »
Grazie Faby!  :-*
"L'effetto trigger" esiste,ma nessuno può dimostrarlo.Perchè nessuno è immune da esso.Tutti abbiamo rimosso dalla nostra mente una brutta esperienza.E allora come sappiamo che esiste davvero?Provate a chiedere alla vittima di una guerra,di un abuso,di una violenza e scoprirete che non sto mentendo.Perchè un viaggio nella mente umana è come un viaggio all'inferno,nel più profondo degli incubi..Anzi, peggio!

Offline livia82

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Re: Riflessioni
« Risposta #5 il: 8 Novembre 2010, 11:12:56 am »
Spesso anche io amo starmene in casa a ripercorrere con la mente ed il cuore i ricordi lontani e vicini della mia vita.
Bello Jiuliet. ;)
non so ditemi voi

Offline Juliet

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Re: Riflessioni
« Risposta #6 il: 8 Novembre 2010, 15:51:11 pm »
Grazie Livia...
Sì, credo che riflettere sulla propria vita sia un modo per maturare nelle scelte, negli atteggiamenti e nei sentimenti...
"L'effetto trigger" esiste,ma nessuno può dimostrarlo.Perchè nessuno è immune da esso.Tutti abbiamo rimosso dalla nostra mente una brutta esperienza.E allora come sappiamo che esiste davvero?Provate a chiedere alla vittima di una guerra,di un abuso,di una violenza e scoprirete che non sto mentendo.Perchè un viaggio nella mente umana è come un viaggio all'inferno,nel più profondo degli incubi..Anzi, peggio!