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Autore Topic: Racconto breve per il giorno della memoria  (Letto 2779 volte)

Offline aniger

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Racconto breve per il giorno della memoria
« il: 27 Gennaio 2007, 18:24:22 pm »
Da un ricordo di una mia amica:
“ Leah, traccia di vita.”
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Roma, Via Stoppani, Civico23.
Era nel vecchio quartiere ebraico che abitavano gli Zevi.
Una famiglia tranquilla, fin troppo: quattro figli un cane e una bella casa antica, dai mattoni grigi a losanga e un bel cancello nero in ferro battuto, dove sulla targhetta dorata spiccava il nome del capofamiglia "Professor Amos Zevi".
"Ebrei… sporchi ebrei ", già qualcuno diceva sputando a terra.
Io avevo 15 anni nel 1938, e a Roma ci sono nata, lì in quella stretta viuzza chiamata Via Stoppani al civico 30. Proprio al confine del ghetto.
Mio padre quando venni al mondo, dopo una nidiata di cinque maschi, ebbe a dire: "Una figlia femmina, una sciagura bella e buona!!".
Si sa che tempi erano quelli…, ma l'amore…, quello oh no,… non mi è mai mancato!
Mia madre,... mia madre…che santa donna era.
Ogni suo pensiero, ogni gesto, ogni sguardo lo sentivo in me.
Un amore così grande da non poterlo dire.
Sono stata felice nel 1938.
Ero una ragazzina vivace, sempre attenta a tutto, e quell'anno quando vennero ad abitare gli Zevi proprio di fronte a casa nostra, conobbi Leah.
Chi era Leah?
Non potrei scriverlo nemmeno in cinquanta fogli chi era Leah!!…Leah Zevi, la ragazza ebrea di 16 anni che tanto amava le rose bianche e che tanto ardore metteva nella vita.
Uno scricciolo di ragazza, dai biondi capelli fini e dal sorriso splendente.
Quando ti sorrideva Leah era come vedere un bel raggio di sole in una mattina grigia.
Quando ti guardava Leah era come se si allargasse il mare dentro i suoi bei occhi azzurri.
Mio padre non voleva che frequentassi gli Zevi, ma alla scuola pubblica io e Leah ci andavano insieme, qualche volta di nascosto.
Mi aspettava all'angolo della via coi libri in mano e quel suo golfino blu.
Ma sul giubbino la cosa più evidente era quell'orribile stella gialla, grande come una casa che indicava la sua appartenenza etnica.
Anno 1938: Leggi razziali.
Che ne sapevo a 15 anni?
Eppure quei "distintivi" erano qualcosa di stridente tra me e lei, non per me, ma per come ci vedevano da "fuori".
Io l'italiana e lei l'ebrea.
Non ci vedevo differenza tra noi due. Anzi semmai era lei la migliore.
Per ogni insuccesso a scuola era Leah che mi confortava e con l'aiuto di suo padre, professore di latino, stavamo chine a rimuginare sui libri al debole chiarore del lume, nei lunghi pomeriggi d'inverno quando il sole tramontava dietro le case di Via Stoppani, rincorrendo i nostri primi sogni giovanili.
Leah aveva come me, solo fratelli più grandi.
Uno era occupato presso una florida azienda di filati mentre gli altri due studiavano all'università di Lettere.
Il padre, il signor Amos, mi incuteva molta soggezione con quella sua barbetta grigia e gli occhi neri penetranti come lance. Si diceva che alla scuola dove insegnava era un bravo Professore, che il latino lo sapeva "addomesticare" a modo suo.
Fu in quel grigio inverno che tornando da scuola io e Leah lo trovammo seduto presso il fuoco.
Fu in quel grigio inverno del 38 che aprii finalmente gli occhi …Il signor Amos non tornava mai prima di sera ma quel pomeriggio era rientrato presto e la moglie, una donnina tutta occhi e sorrisi ci venne incontro sulla porta, a me e a Leah, asciugandosi furtivamente le lacrime.
La sua voce, un tremolio, la ricordo ancora: " Lo hanno licenziato…hanno bruciato tutti i libri della scuola, gli hanno detto di andarsene”!
Mi sentii tremare dentro. "Sporchi ebrei"… "sporchi ebrei" …ormai il ritornello si sentiva sempre più spesso passeggiando per le strade di Roma ed io cominciavo a capirne il senso.
Lui, il professore, era in cucina, gli occhi puntati sul fuoco del camino. Il volto inespressivo, ma perché allora avvertivo nella mia piccola semplicità quel sordo, profondo dolore d’adulto? Andai via subito, sconvolta.
A casa, provai a chiedere spiegazioni.
Perché bruciavano i libri?
Perché gente in gamba come il Professor Zevi era costretto a lasciare il lavoro?
Perché li marchiavano come bestie con quell'orribile stella a sei punte?
Leah, una volta, andando dal fotografo per un documento d'identità mi disse che provò un'umiliazione terribile quando gli fu detto di passarsi i capelli dietro l'orecchio sinistro…sì, mi spiegò,…per gli scienziati nazisti l'orecchio sinistro di un ebreo ne tradiva l'origine semitica e che tutte le foto sul passaporto degli ebrei erano fatte a quel modo da alcuni mesi, secondo una nuova legge, che imponeva che al disopra dei 15 anni in ogni documento d'identità fossero inserite quelle foto a motivo di riconoscimento, oltre alla bella "J" stampata sul fronte retro del documento.
E lei aveva in ogni caso sorriso davanti all'obiettivo, come nulla fosse, ingerendo lacrime e rabbia.
Me la fece persino vedere, sì, la foto era venuta bene, ma l'orecchio era rimasto scoperto come una piaga non rimarginata.
Mi ero guardata allo specchio quella sera pensando a tutto questo, ma in definitiva non vedevo nel mio orecchio ariano nulla di diverso dal suo.
Una cosa che Leah faceva sempre, dopo aver studiato il pomeriggio a casa sua, era quella di accompagnarmi al cancello e mi donava una bella rosa bianca del suo giardino dicendomi: " un fiore come questo è unico, il bianco è il mio colore preferito".
Quando anche la scuola fu divisa provai un dolore smisurato: agli ebrei non era più concesso di mescolarsi con gli ariani.
Piangemmo insieme io e Leah, quella volta, nascoste nel sottoscala di casa sua.
Piangemmo un'ora buona senza farci sentire da suo padre. O se ci sentiva era così "discreto" da lasciarci in pace.
Ogni tanto nella notte, lungo Via Stoppani si sentivano rombare dei motori.
Grida furiose, urla di disperazione e di dolore. Rumore di cocci, di fucili.
Il giorno dopo si veniva a sapere che una famiglia ebrea era stata arrestata, "portata via"…Via dove?..
Nemmeno mio padre, solitamente così burbero, riusciva a trattenere il suo disappunto.
I miei fratelli discutevano di politica, spesso quando si era a cena, ma io non ci capivo niente tranne quella orribile cosa che continuava a ronzarmi nelle orecchie e che sentivo sempre più: "gli ebrei devono starsene al loro posto".
Mio padre, l'ho capito dopo, voleva solo proteggermi.
Non voleva che frequentassi Leah solo per paura, ma in realtà non ha mai avuto preclusioni d’alcun tipo. Le nostre radici erano buone.
Era così che andava in quell'inverno del 1938…
L'ultimo giorno, ricordo che nevicava, ed avevo accompagnato Leah al negozio di Samuele.
Samuele era un anziano signore che accomodava le scarpe in pieno ghetto ebraico. Leah aveva con sé un paio di scarpe di pelle nera di sua madre e ci teneva a rimetterle a nuovo ben sapendo quanto le piacessero.
Era il suo regalo di Natale anche se loro il Natale non lo festeggiavano come noi.
Nella neve ci eravamo attardate a giocare come due bimbe, ignare e inconsapevoli nella nostra ingenua adolescenza.
Il giorno dopo la casa dei Zevi era deserta.
Io non avevo udito nulla quella notte, nessun rumore che facesse presagire alcunché.
Credo che se ne siano andati con la loro consona dignità, col loro bellissimo orgoglio d’ebrei.
Mio padre continuava a dirmi con voce buona: "non è niente, vedrai torneranno”….
So solo che piansi molto e piansi per giorni interi: "non tornano…non tornano”… continuavo a ripetermi.
Capii, molto tempo dopo, il punto d'arrivo destinato agli ebrei.
Gli Zevi…(feci ricerca per conto mio negli anni '60) , ebbero la peggiore delle destinazioni.
Destinazione Aschwitz!!! …Dei componenti di questa famiglia non tornò nessuno.
Ho conservato l'ultima rosa di Leah dentro ad un vecchio e consunto libro di mio padre. Ormai è secca ma so che è lì, nei momenti cupi mi accompagna, proprio come una bella amicizia.
Anche le scarpe ritirai, un mese dopo al negozio del ciabattino, a nome di Leah, e le ho tenute in casa mia sperando tanto di potergliele restituire un giorno…
Io mi sposai nel 1950 con un ricercatore americano ed emigrai verso quel paese, dove sono nati i miei figli.
Ogni tanto, ritorno a Roma, nell'antico ghetto… e, passando per Via Stoppani, mi fermo spesso al civico 23.
La casa esiste ancora ma è decadente.
Il cespuglio di rose di Leah ormai ha cessato di esistere.
Non manco mai di entrare nel negozio e comprare una rosa, la più bella e la meno fiorita, una rosa “unica”.
Una sola rosa bianca, così come piaceva a Leah.

 :star:  :star:  :star: Oggi, sabato 27 gennaio 2007, giorno della memoria.
Per non dimenticare. :star:  :star:  :star:
 
spesso sostengo lunghe conversazioni con me stessa e sono cosi intelligente che a volte non capisco nemmeno una parola di quello che dico.


Il senso del dovere è simile ad un'orribile malattia. Distrugge i tessuti del pensiero come certe malattie distruggono i tessuti del corpo.
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Offline *Tinkerbell*

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Racconto breve per il giorno della memoria
« Risposta #1 il: 27 Gennaio 2007, 20:07:42 pm »
wow! sono senza parole di fronte a questo racconto. ho ancora i brividi.......
Per avere qualcosa che non hai mai avuto devi fare qualcosa che non hai mai fatto

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Offline euston90

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Racconto breve per il giorno della memoria
« Risposta #2 il: 28 Gennaio 2007, 13:25:08 pm »
complimenti...profondo, commovente e scritto veramente bene...
...è orribile pensare che cose di questo genere siano accadute davvero tante e tantissime volte in quegli anni
...a volte il vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato...

...andare sempre contro vento, soltanto così è possibile alzarsi in volo...

...non c'è notte tanto grande da non permettere al sole di risorgere il giorno dopo...

Offline anna91

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Racconto breve per il giorno della memoria
« Risposta #3 il: 28 Gennaio 2007, 15:46:43 pm »
Complimenti,un  racconto commevente davvero,come si fa a negare la Shoa come si fa a negare la morte di persone innocenti e pure come questa ragazze? R.I.P. tutte le persone morte per una follia come quella.
La felicità si può trovare anche nei momenti più buii se solo uno si ricorda di accendere la luce..

Offline aniger

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Racconto breve per il giorno della memoria
« Risposta #4 il: 28 Gennaio 2007, 19:07:27 pm »
:star: Grazie amici delle vostre dolcissime parole. Un abbraccio sincero :star:  
spesso sostengo lunghe conversazioni con me stessa e sono cosi intelligente che a volte non capisco nemmeno una parola di quello che dico.


Il senso del dovere è simile ad un'orribile malattia. Distrugge i tessuti del pensiero come certe malattie distruggono i tessuti del corpo.
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Offline Albert

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Racconto breve per il giorno della memoria
« Risposta #5 il: 29 Gennaio 2007, 15:09:24 pm »
Racconto stupendo pur nell'infinita tristezza che scatena in chi lo legge..... :(

Scritto veramente bene, anche se credo che il tuo intento era far riflettere questa volta....e ci sei riuscita.....almeno con me..... ;)  

....non voglio morire
scoprendo di non aver vissuto....


....if I die tomorrow, I'd be allright because I believe
that after we're gone the spirit carries on.....


God show me the way because the Devil's tryin' to break me down

Offline aniger

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Racconto breve per il giorno della memoria
« Risposta #6 il: 29 Gennaio 2007, 16:15:26 pm »
;) Hai ragione. Era proprio questo che desideravo!! Complimenti, hai capito perfettamente il mio pensiero!! :)  
spesso sostengo lunghe conversazioni con me stessa e sono cosi intelligente che a volte non capisco nemmeno una parola di quello che dico.


Il senso del dovere è simile ad un'orribile malattia. Distrugge i tessuti del pensiero come certe malattie distruggono i tessuti del corpo.
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