PEDALANDO IN COLLINA
Com’è bella questa sensazione di vento nei capelli…
Mi sento libera, finalmente, padrona di me, della mia vita, del mio tempo.
Pedalo con forza, con gioia. Una pedalata…e via tutte le illusioni dell’amore perduto. Una pedalata…e via quel volto, ormai odioso e non più amato, dell’uomo che mi ha tradita…
Un’altra pedalata e via…via tutti gli avvocati avidi e grifagni, via il giudice che pronuncia la sentenza di separazione, via il viso di mia madre e di mio padre delusi dal mio fallimento matrimoniale…
Certo, non mi sento del tutto sicura, ho ripreso la bici dopo vent’anni, in realtà pensavo di non saperci andare più…e invece sono qui, a risalire la collina e la mia esistenza, con fatica e un po’ d’incertezza nelle gambe, ma con determinazione e anche una certa serenità, mi sembra di buttar via qualche anno ad ogni pedalata.
Mi sento un po’ ubriaca, anche perché l’aria di questo pomeriggio di luglio è così pulita da dare alla testa: tersa, limpida, calda, ma non si suda, perché un vento leggero attenua meravigliosamente la calura, rendendola piacevole sulla pelle.
Non c’è traffico a quest’ora; il panorama è ampio, dalla curva riesco a scorgere l’argento del mare, ulivi, mandorli,fichi ondeggiano piano nel vento, mostrando le diverse sfumature del verde, secondo i riflessi del sole e il verso delle foglie, il canto delle cicale mi accompagna, ininterrotto.
Sulla sinistra si apre una strada bianca, non sembra particolarmente accidentata, così decido di percorrerla.
Molte ville sorgono ai suoi lati; per la maggior parte sono antiche, alcune restaurate, altre lasciate così, a mostrare i segni del tempo, a parlare di una vita passata, con ritmi diversi…è facile immaginarvi merende sull’erba, giovani signore con cappellini di paglia e abiti di rasatello stretti in vita da cinture alte, bambini con calzoni corti e bimbe con gonnelline a pieghe che giocano vociando…è come se il tempo si fosse fermato, la sensazione di legami col passato è particolarmente forte, tanto che non mi stupisce sentire, a un tratto, una canzone degli anni cinquanta…” Lo sai che i papaveri…”
La odo distintamente, è in versione originale e il suono proviene da una villa seminascosta dietro un cancello fitto di rampicanti.
E’ più forte di me…smonto dalla bici e vado sbirciare tra le foglie verdi che ricoprono il cancello.
La musica proviene distintamente dalla casa; la porta –finestra è aperta e il vento vivace fa sventolare, un po’ fuori e un po’ dentro, le tendine di pizzo con i ricami. La casa è buia, non si vede nulla all’interno e non si odono altri rumori, solo la voce sincopata della cantante che insiste …” e tu sei piccolina…e tu sei piccolina…”
A un tratto, da dietro la casa, nel vialetto ombreggiato del giardino, vedo una bimba che viene avanti, camminando con attenzione, porta nelle manine un bicchiere di vetro colmo di una bibita fresca, credo sia limonata.
Ad ogni passo, il liquido nel bicchiere ondeggia e, ogni tanto, qualche goccia cade sui mattoni del vialetto, tra i gridolini di finto spavento della bambina, che sembra divertirsi molto.
E’ elegantissima. Indossa un vestito di organza bianca, ricamata, con un mazzolino di fiori bianchi alla cintura, le scarpette immacolate, col cinturino, sono rese ancora più civettuole dai calzini col riccio, in testa una paglia fiorentina, con nastri della stessa organza e guantini bianchi lavorati all’uncinetto le coprono le mani delicate.
Non riesco a vedere il viso della bambina, il cappellino ne nasconde buona parte, ma la sua piccola bocca si intravede e spesso si apre, nel ridere, su denti bianchi e regolari.
Il destinatario di quel trasporto non mi è visibile, ma credo che qualcuno l’aspetti a destra del cancello, in una zona celata al mio sguardo e l’attende con trepidazione, con amorosa complicità.
Tutta la pantomima della piccola trasportatrice di limonata è di sicuro per questa persona che io non riesco a vedere, ma l’intesa che c’è tra loro è palpabile: esistono, in questo momento, in funzione una dell’altra, un legame assoluto, forte, che riesco a percepire benissimo, quasi fosse corporeo, è come se la bambina fosse protetta e trascinata da una fune spessa e indistruttibile, è completamente concentrata sul suo percorso e sulla sua meta, con l’unico intento di sollecitare e divertire la persona che l’aspetta: interamente a suo beneficio le risatine, le occhiate, il finto spavento alla perdita di equilibrio del bicchiere…un’intesa perfetta, che mi fa provare un improvviso, inspiegabile, meschino morso di invidiosa gelosia.
Amarsi così! Essere al centro assoluto di un Universo compiuto nella sua perfezione minuscola di tempo e di spazio! Forse è così il legame madre-figlio…quel figlio che non sono riuscita ad avere, a dare al mio uomo…
Riaffiora prepotente tutto il mio recente bagaglio di incertezza, di punti fermi perduti, di fondamenta spezzate da ricostruire…Piango.
Piango qui, come una cretina, dietro un cancello sconosciuto, sola nel pomeriggio di luglio che non è più così bello, così perfetto nel canto delle cicale, nelle ville piene di sole.
Non odo più la canzone.
Improvvisamente è tutto silenzio. Completamente.
Un brivido mi percorre la schiena.
Alzo gli occhi e c’è davanti a me una vecchina.
“ Avrà cento anni!” penso, il viso è una rete fittissima di rughe, ma due occhi azzurri vivaci e pungenti mi osservano attenti al di là del cancello chiuso.
Provo imbarazzo e cerco disperatamente qualcosa da dire…invece è lei a parlare:
- L’ha vista, vero ?
L’ha vista anche lei, no? – mi chiede ansiosa.
Sono colta di sorpresa.
- Signora…intende…?- rispondo incerta
- Ma come! Andiamo!- incalza lei – La mia Betta! Dico, l’ha vista anche lei, no? La mia Betta!
- Ah! – faccio guardinga – La bambina? Sì, sì, certo…stavo giusto per chiederle…
-Ecco! Vede! Non sono pazza, non sono pazza! Glielo venga a dire, presto…prima che mi facciano un’altra iniezione!
Rimango interdetta, ma ancora di più quando vedo uscire dalla casa una donna, col camice bianco, che si guarda intorno ansiosa e, vista la vecchietta, si dirige verso di lei con fare sbrigativo e un po’ arrabbiato:
- Antonietta! Non dovresti stare qui…vieni dentro, forza! Il caldo ti fa male!
E, così dicendo, la tira per le braccia, spingendola verso casa: poi si accorge di me che sto lì a guardare, con l’espressione di una sciocca, probabilmente ho ancora il viso bagnato di lacrime…
- Buongiorno…non l’avevo vista…Conosce la signora? Forse è una sua vecchia alunna?
Faccio cenno di sì, ipocritamente, non so che fare, che dire…
- Eeh! Non si scandalizzi! Non la vede da tanto, vero? E’ peggiorata con gli anni…e anche il dolore fa la sua parte ! Aver perso quell’angelo di bambina tanti anni fa, l’ha ridotta così, poverina…Ma torni ancora…sarà più calma, magari…
E così dicendo, mi volta le spalle, spingendo Antonietta dentro casa, mentre la vecchietta le dice stizzosa:
- Tanto Betta l’ha vista anche lei, mentre mi portava la limonata, come fa tutti i pomeriggi! E portava il vestito che le ho ricamato io…e i guanti! E’ vero? E’ VERO?- mi chiede disperatamente, volgendo gli occhi, mentre l’infermiera la spinge bruscamente dentro casa
- E’ vero, Antonietta, è vero!- le grido di rimando- Tornerò a trovarla! Torno presto!
E’ vero, Antonietta. Vero.
Perché è vero dentro di te, è la forza del vostro amore a dare ancora la vita a un ricordo.
E se l’amore può far questo…forse ho speranze anch’io.
Forse posso raccogliere i miei cocci e ricominciare e costruire ancora, non è finita qui, non posso arrendermi.
Cercherò una casa in questo posto. Sì, lo farò. Mi sembra il posto giusto per ricominciare, è un po’ magico.
Riprendo la bici e la giro. Pedalare in discesa è più facile, decisamente.