Nel parcheggio del supermercato fa freddo.
E'all'aperto e la serata è rigida, poi, in questo spazio con pochi alberelli giovani e magri, il vento la fa da padrone, ed è un vento di dicembre, compie il suo dovere di buon vento gelido che ti accende il desiderio di casa....
Il ragazzino compare da dietro una siepe divisoria, è vestito bene, pulito, ha la pelle scura, non mi ha visto.
Si ferma di scatto, ha l'affanno della corsa e, a un tratto, comincia a piangere.
Il pianto è intenso, disperato. E' come se avesse aperto una diga: un fiume in piena.
Piange, singhiozza, ogni tanto grida con voce roca, parole incomprensibili.
Passano alcuni minuti, non accenna a smettere, qualcuno guarda, rallentando il suo percorso frettoloso, poi guarda me e scappa via, ben contento di non avere responsabilità.
Già, ma il bambino è proprio davanti alla mia auto, non posso andare via...
Non ho mai sopportato troppo i bambini: capricci, febbre, manine appiccicose...io sono una persona metodica, ordinata, amo le cose belle di cui mi sono circondata lavorando sodo...
- Ciao
Il piccolo alza gli occhi su di me e li conficca nei miei:sono neri, pieni di luce, le lacrime residue li rendono ancora più vivi
- Ciao...- fa lui
- Parli la mia lingua?- gli chiedo subito. L'espressione del bambino è un po' stupita:
- Sì, sono italiano...
- Ah, bene. Posso sapere perchè piangi?- incalzo
Gli occhi tornano per un attimo a riempirsi di lacrime, ma, con uno sforzo evidente, lui le ricaccia indietro.
-Perchè mia madre è morta...- dice poi con semplicità.
Un macigno. Mi ha buttato un macigno.
Mi appoggio stancamente al palo della luce, tiro fuori le sigarette e ne accendo una... attraverso la voluta di fumo lo osservo, le spalle magre ancora sussultanti ogni tanto.
- Beh, è un buon motivo per piangere...hai ragione...- gli dico.
Ancora una volta alza il visetto e mette i suoi occhi vellutati dritti nei miei:
- Papà non dice così...dice che sono un uomo...e non devo piangere
- Quanti anni hai, giovane uomo?- domando piano
- Nove!- risponde orgogliosamente- beh, quasi nove...tra due mesi...
Schiaccio nervosamente sotto il piede quanto rimane della sigaretta:
-Certo, sei un uomo...nove anni...ma, ogni tanto, se hanno una buona ragione, anche gli uomini possono piangere, sai...e poi non ti ha visto nessuno...- lo sbircio, vorrei capire se è fuggito...
Un sorriso furbo: - E' vero, non mi sono fatto vedere da nessuno...papà non sa che sono qui...
- Ah! E dove pensa che stai?- gli domando
- Ai giochi del computer...abbiamo appuntamento lì...lui sta facendo la spesa-
Gli trema la voce, forse ha ricordato la spesa fatta con sua madre...
- A che ora è questo appuntamento?- incalzo
Guarda un piccolo orologio da polso colorato:- Ora!...Devo andare! Questo...questo rimane un segreto?- domanda con voce rotta
- Ma certo, ti do la mia parola! E quando si dice così...non si può mentire, lo sai?
Sempre quegli occhi nei miei, sono due spade, mi trafiggono:- Lo so, lo so. Ciao!-
E corre via, leggero, veloce, come una gazzella, sparisce all'interno del supermercato.
Mi sento svuotata, forse alleggerita.
Entro in auto, inserisco la chiave...alzando gli occhi mi vedo riflessa nello specchietto: sono pallida, un po' spettinata. Due rughe si cominciano a vedere intorno alla bocca, a casa non mi aspetta nessuno. E' tutta bella, in ordine, con gli oggetti che amo. E nessuno che amo. O che ami me.
Poggio le mani sul volante e poi la fronte e poi piango...a singhiozzi pieni, liberatorii, un fiume che ha rotto gli argini, un dolore sordo e maledettamente amaro, graffiante.
Anche io ho un'ottima ragione per piangere: ho buttato via la mia vita.