La lasciai lì, sul marciapiede, col casco teso verso me, credeva l'avrei riposto nel bauletto della moto come da tanto facevamo tutte le notti. Detti gas e fuggii perché troppo dolore mi procurava il dividermi in due.
Corsi per la città come un pazzo. Spensi il telefono che mi assillava col suo trillo nevrotico. Guardavo al vertice della strada. Negli occhi: Nicoletta in piedi sul marciapiede e quel casco nero in mano. Immaginavo l'incredulità dei suoi occhi ed il suo tormento nel ricordare le mie parole:
-”Non posso dividermi in due ... “.
Lei aveva risposto dolce:
-”Con me potrai sempre. Io sono la parte del cielo che ti manca! Aspetterò per sempre che tu sia mio o accetterò per sempre che tu sia diviso”.
Le asciugai una lacrima che le scorreva sul viso poi alzai lo sguardo nei suoi occhi dicendo:
-”Non posso fare questo né a te né a Laura, mi sento vigliacco senza scegliere ... Ti amo!”.
-”Amami allora, e non aver paura, non fuggire!”. Rispose guardandomi con lo sguardo umido.
Le baciai il viso salato, come si fa con i bimbi.
Rimanemmo seduti sul telo dove avevamo festeggiato il nostro incontro mangiando panini. Rimanemmo seduti a guardare le foglie secche al suolo e gli alberi del bosco”.
Rimanemmo seduti sul telo a fissare le strisce porpora del sole che andava via passando dietro le colline, arrossandole.
E poi l'avevo baciata con la passione alta fino al cielo. E l'avevo abbracciata sentendola vibrare sul mio corpo. Questo continuavo a vedere stampato in fondo al cielo quella notte.
Correvo per la città guardando il vertice della strada con la visiera bagnata e su ogni goccia vedevo Nicoletta con il casco nero in mano teso verso me. Immaginavo l'incredulità dei suoi occhi nel ricordare l'ultimo sincero “Ti amo!” che le avevo gridato stringendola a me mentre guardavamo il calore del tramonto. Era amaro ricordare il sapore dolce del suo collo e delle sue spalle mentre la baciavo e ci spogliavamo a vicenda. Era amaro ricordare il sapore dolce del suo sesso. Era una dolorosa fitta ricordare l'immagine del suo corpo che vibrava sotto di me e poi sopra distesi sul telo a mangiare i nostri corpi sotto la luce porpora del sole che tramontava. Avevo deciso quel tramonto doveva essere il simbolo romantico della mia scelta. Laura era arrivata prima, forse non era la vera metà del mio cielo, ma Laura mi aveva dato il continuo della vita. Laura non avrebbe mai detto:
-” ... Io sono la parte del cielo che ti manca! Aspetterò per sempre che tu sia mio o accetterò per sempre che tu sia diviso”.
Correvo per la città vedendo luci schizzare intorno e scansando quelle rosse. Ogni goccia salata sulla visiera era l'immagine di Nicoletta. La sentivo distesa in centro al suo letto a guardare il tetto con la testa sul cuscino bagnato. Con gli occhi increduli, con la collanina che le avevo regalato la mattina stretta in una mano posata sul cuore, immaginavo il pendente che rifletteva la luce della Luna. Sapevo che non avrebbe lasciato la finestra chiusa. Noi amavamo la finestra aperta e la luce della luna che colorava le nostre notti, ed i nostri giochi. Amavamo il sorgere del Sole che la mattina illuminava i nostri corpi lucidi d'amore. Sentivo che aveva paura ... Sentivo di avere paura.
Quanto piansi quella notte. Ricordo che correvo per la città quando urtai qualcosa, volai via, scivolò la moto sull'asfalto umido, anche gli angeli stavano piangendo. Vidi il cielo rotolarmi attorno, sentii il mio corpo fermarsi contro il vento e poi niente più ... Nei miei occhi un casco nero teso. Nel corpo: dolore, poi luci blu, poi mani, poi silenzio.
Mi risvegliai in una stanza bianca difronte un orologio indicava le 7.00. Puzza di disinfettante intorno, su una sedia un casco nero, sul comodino anch'esso bianco un altro casco nero, una scatolina ed un bigliettino con la sua busta un po' sgualcita. Lo conoscevo bene e piansi. Sapevo cosa ci fosse scritto e sapevo il contenuto della scatolina. L'avevo comprata la mattina.
Adesso mi ero accorto di essere appeso ad un tubicino che mi entrava nel braccio sinistro. Soffrivo non per il dolore fisico, ma per quello dell'anima. Pensavo:
-”Oh mio Dio, che significa, perchè quegli oggetti sono qui!”.
Soffrivo a pensare che Nicoletta mi restituisse il suo regalo, così. Ma forse era meglio. Però questo indicava che lei non avesse capito la mia sofferenza, che si fosse dimenticata di avere detto:
-”... Io sono la parte del cielo che ti manca! Aspetterò per sempre che tu sia mio o accetterò per sempre che tu sia diviso”.
Alle 10.00 arrivò Laura, portava tutta la sua paura. L'avevano chiamata dicendole di venire all'ospedale che suo marito aveva avuto un incidente per fortuna non grave. Era dovuta correre in ospedale con i bambini. Non aveva trovato a chi lasciarli. Mi corse incontrò e mi baciò la fronte guardandomi con i suo occhi interrogativi e dicendomi:
-”Quando ti levi il vizio di avere sempre 20 anni?”.
La risposta sarebbe dovuta essere mai. Avere sempre 20 anni era la mia speranza di vita. Ero talmente rotto che faticai a sorriderle. Vide i caschi e poi il pacchetto sul comodino, rise come una bimba felice mentre lo scartava, trasse dallo scatolino una collanina d'oro bianco con una perla incastonata alla fine di un pendente a forma di cono. Quella perla ancora rifletteva la Luna di una notte di lacrime. Ma Laura questo non lo avrebbe mai saputo. Indossò il pendente guardando il suo riflesso sul vetro di un armadietto è disse:
-”Era tanto che non mi regalavi una cosa carina!”.
Poi tirò fuori il biglietto e lo lesse. Ci avevo scritto “Io sono la parte del cielo che ti manca! Ti amo! Non dimenticarlo mai”. Mi diede un altro di quei baci che si danno ai bambini e poi chiamò i bimbi, il continuo delle nostre vita, vantandosi anche con loro del regalo che aveva avuto:
-”Guardate come è bello il regalo che mi voleva portare papà... Andate a salutarlo è sveglio e sta bene”.
Mi trovai i due angioletti intorno che mi facevano mille domande. Poi passò un'infermiera per cambiare la flebo, mi guardò e disse:
-”Non lo dimentichi!”. Pensai che mai avrei potuto dimenticare.
L'infermiera poi si rivolse a mia moglie dicendo:
-”Adesso deve riposare, l'orario di visita è finito, potete ritornare alle 16”.
Laura mi venne a dare un altro bacio, sempre sulla fronte, ed anche i piccoli mi baciarono, poi si accomiatarono ed uscirono dalla porta guardando indietro, mentre a fatica sventolavo la mano destra.
Ero rimasto solo a ripensare alla mia vita, alla scelta che stavo cercando di fare. Guardavo il casco che era sul comodino, sicuramente era quello che aveva usato Nicoletta, cercai di spostarlo, ma cadde. Sotto c'era una foglia rossa a forma di cuore. Sicuramente una di quelle del bosco che aveva assorbito il colore del tramonto che era stato mio e di Nicoletta. Piansi decidendo che mai più avrei dovuto pensare che Nicoletta avesse rinunciato al mio regalo, aveva solo ottenuto di farmene uno lei che chissà quanto le era costato. Chiamai l'infermiera e le chiesi di conservarmi la foglia, magari mettendola in una bustina di plastica e poi nella tasca interna della mia borsetta da moto.
Passarono alcuni giorni da quando uscii dall'ospedale. Li usai per tante cose: aggiustare la moto, riprendermi dal dolore che ancora avevo al costato, portare i bimbi al parco, andare a mangiare fuori con Laura, risanare la mia anima. Anche se mi sentivo mentalmente chiamato da Nicoletta non la chiamai mai. Soffrivo già abbastanza il mezzo cielo e un quarto mio e di Laura. Avrei potuto cambiare idea e non volevo. La pianezza del rapporto con Nicoletta poteva essere la beffa di una nuova passione appena cominciata, poi magari si sarebbe appiattito tutto come era successo con Laura. Per la verità non avevo mai sentito Laura per telepatia. Nicoletta la sentivo, la vedevo al suo computer a scrivere le sue poesie, erano grigie quando l'avevo conosciuta, divennero rosa e adesso sento che sono di nuovo grigie. Avrei potuto vederle su internet accendendo il computer. Ma non volli fare nemmeno questo. Soffrivo le finestre della camera da letto oscurate tutte le notti. Soffrivo a non vedere i nostri corpi lucidi d'amore segnati dai raggi del primo Sole. Ma non ero mai riuscito a fare capire a Laura quanto amassi i colori della Natura ...
Altri giorni passarono. Venne il primo giorno che misi piede in ufficio dopo la lunga convalescenza. Accesi il computer. Scaricai la posta e tra i tanti messaggi trovai una e-mail con mittente “Nuovo incarico”. Stavo per buttarla, pensavo fosse il solito spam, ma una voce mi disse aprila.
-”Con me potrai sempre dividerti come vuoi. Perché solo io sono la parte del cielo che ti manca e solo tu sei la parte del cielo che manca al mio cielo! Aspetterò per sempre che tu sia mio o accetterò per sempre che tu sia diviso”. Così mi parlava Nicoletta. Controllai la data, l'aveva mandata la mattina stessa. Come faceva a sapere che era quello il giorno che sarei tornato in ufficio?
Quando uscii dall'ufficio, telefonai a Laura e le mentii come ormai facevo da mesi:
-”Cara, ho un sacco di lavoro arretrato, vado a mangiare una cosa e poi torno in ufficio!”. Mi sentti un poco vigliacco, ma c'era una droga che scorreva nel mio sangue: l'altro mezzo cielo. Non so nemmeno cosa avesse replicato Laura. Forse qualcosa del tipo:
-”Ma è il primo giorno ... “.
Inforcai la moto, andai a comprare un'altra collonina ed un altro pendente. Era buio quando arrivai a quel marciapiede ... Nicoletta era già lì, fuori casa, con il braccio teso per prendere il casco, aveva riconosciuto il rumore della moto provenire da in fondo al viale ed era corsa giù come faceva ogni volta che arrivavo ... Posai la moto. Presi la sua mano tesa e la richiusi sul pacchetto che le avevo comprato, poi l'accompagnai alla porta della “nostra” casa. Aprimmo la finestra e ci stendemmo sul letto, la Luna penetrava in mezzo ai nostri baci ed illuminava il pendente in mezzo ai suoi seni. Poi fu mattina e il Sole illuminò i nostri corpi lucidi d'amore...
Autore: Sir Jo Black 