LA MACCHIA
Scrivere.
Oggi significa ben altro per me: prima con la penna, adesso direttamente con la tastiera del computer…facile correggere, limare, spostare…
Ma era un fatto ben diverso quando avevo cinque anni e mi trovavo in prima elementare, a combattere con la penna, i pennini e l’inchiostro…..
Le suore non amavano le penne-biro...preferivano ancora i vecchi metodi.
I banchi erano di legno, a sedile fisso, il piano del banco era leggermente inclinato, si apriva a ribalta e fungeva da contenitore. Sulla striscia di legno cui la ribaltina era collegata da cerniere, il calamaio: un “pozzetto” poco fondo, in cui tutte le mattine suor Plautilla versava inchiostro fresco: ne ricordo perfettamente l’odore caratteristico e gradevole.
La penna, un’asticciuola, era di legno, oppure di plastica colorata, vi si inserivano i pennini d’acciaio, che avevano varie forme.
Ce n’erano di bellissimi, mi ricordo che ero innamorata di quello “ a campanile”: punta sottile, una pancina traforata e un innesto liscio per inserirlo nell’asta della penna.
C’era anche il nettapenne, solitamente fatto in casa da mamme e nonne abili e amorevoli, usando ritagli di stoffe vecchie piuttosto morbide e spesse: gli strati erano cuciti a forma di fiore dai molti petali, fermati da un bottoncino centrale, vi si ripuliva il pennino quando diventava troppo greve d’inchiostro o quando la sua punta sottile “catturava” qualche sfilaccino invisibile, disastroso però per la scrittura che si “sporcava” tutta…
Infatti, c’era la grande nemica sempre in agguato: LA MACCHIA!
Di solito mi sfuggiva alla fine di una pagina scritta con più ordine e cura del solito, rovinando tutto, causandomi rabbia e lacrime e tentativi di rimediare cancellando, che portavano quasi sempre ad un guaio peggiore, perché il foglio del quaderno finiva per bucarsi sotto la gomma ruvida..e allora, l’unica cosa che rimaneva era strappare la pagina e rifare tutto…
Così, però, dall’altro lato del quaderno se ne staccava un’altra, pulita, innocente, che ormai aveva perso il diritto ad essere scritta, perché indissolubilmente legata alla sorella “segnata”: morivano insieme, un sogno di utilità perduto…
Il quaderno si assottigliava sempre di più, con seri sensi di colpa da parte mia, bambina sensibile in una società che non era ancora dei consumi, ma del risparmio attento e dell’economia operosa: era grande il rimorso di “sprecare” un quaderno che costava soldi, soldi “lavorati” da mio padre con fatica e sacrifici.
Ma come facevo a lasciare quella pagina così, irrimediabilmente segnata dall’onta della macchia, simbolo della mia goffaggine, della mia incapacità, del mio disordine?...
Oggi rivedo quelle macchie con altri occhi…mi sembrano perfino belle, come palloncini blu che portavano un po’ di allegria, un po’ di sana monelleria da bambini, su una pagina altrimenti troppo seria…qualche macchia aveva addirittura una forma di stella, secondo l’altezza da cui la malcapitata precipitava sul foglio e il modo in cui la carta del quaderno, un po’ scuretta e ruvida, l’assorbiva…avrebbe potuto essere un piccolo firmamento personale, un sorriso blu!
Ma allora non riuscivo a sorriderne, erano il mio incubo quelle macchiacce…mi rivelavano per quello che ero: un po’ pasticciona, senza grande manualità…sembravano quasi quei peccati terribili di cui le suore predicavano tanto, spaventandomi a morte e creandomi grandi sensi di colpa…
2008- dal laboratorio di scrittura creativa-