Lo so fa schifo..ma ci provo comunque...tentar non nuoce..
“Oltre il grande monte,al di là del grosso pino,laddove il rigagnolo si trasforma in un impetuoso fiume”. Sono passati quasi vent'anni da quando i miei genitori mi hanno raccontato per l'ultima volta questa favola; ma quella frase è l'unico ricordo che possiedo di loro. Se ne sono andati una sera, quando io avevo solo quattro anni, troppo pochi per capire. Da allora ho sempre vissuto con i miei zii, i quali hanno sempre preferito non nascondermi la verità. Ogni piccolo particolare della loro fiaba mi ha sempre emozionato, ma il fiume...Il fiume ha sempre avuto in me un effetto straordinario, forse proprio a causa del fatto che riportava alla mia mente i giochi e le passeggiate che facevo con i miei genitori, ricordi vaghi, confusi e lontani, ma importanti. Ricordandomi la favola dei miei genitori, spesso dopo la loro scomparsa, passavo intere giornate a seguire il corso del rigagnolo, per trovare il punto in cui si trasformava in un fiume, piena di speranza, pensando di trovare il posto in cui, secondo le mie fantasie, vivevano i miei genitori. Ora so che loro non possono essere lì, né in alcun altro luogo, ma il loro racconto continua ad essere una parte fondamentale della mia vita. Forse qualcuno si chiederà fino a che punto. Riflettendo bene, una fiaba non può far costruire ad una mente dei ricordi inesistenti; anche io, crescendo, cominciai a pensarla così. Fino a che una sera d'estate non successe qualcosa che mi fece cambiare totalmente idea.
Erano passati tredici anni da quel 1 Agosto, quando un camion, di cui l'autista aveva perso il controllo a causa della forte pioggia, aveva travolto e ucciso i miei genitori. Quella sera, a diciassette anni, pensavo a loro, a come sarebbero state quelle due persone così vicine a me eppure così lontane, due sconosciuti, visti per la maggior parte della mia vita solo in alcune fotografie. Non ricordo nulla della sera in cui morirono, se non due cose: io ero a casa dei miei zii e da allora non me ne sono più andata; e ricordo anche che pioveva, una pioggia forte, battente, che aveva fatto infuriare me e mia cugina perchè non eravamo potute andare al parco. La stessa pioggia che cadeva allora, cadeva in quel momento in cui pensavo a loro. Ero seduta sul letto, guardando una fotografia che ci ritraeva tutti e tre assieme, in un bosco, in montagna e dietro di noi lo stesso fiume che avevo sempre nella mia mente. Subito mi accorsi delle lacrime che mi riempivano gli occhi e che stavano per sgorgare: non avevo mai pianto per la loro morte, eppure ora lo facevo; ma non erano lacrime di dolore, erano lacrime di rabbia, una rabbia profonda e immensa che mi portavo dentro da tutto quel tempo, senza mai essermene accorta. Mi alzai e mi diressi alla finestra con l'intenzione di affrontare la causa della mia rabbia recondita: scostai le tende, presi una sedia e mi sedetti ad osservare la pioggia. Sarei stata a fissarla fin quando non avrebbe destato in me più alcun sentimento. Ad un tratto aprii le ante: il vento soffiava forte e spingeva le gocce in camera, sul mio viso, dapprima mescolandosi con le mie lacrime e poi sostituendosi ad esse; sentire la pioggia negli occhi, sulla bocca era una sensazione fantastica: in un certo senso la pioggia era la stessa di tredici anni prima, ma questa volta suscitava un'emozione radicalmente diversa; non era più la pioggia rabbiosa, crudele che mi aveva portato via la famiglia. Da piccola non capivo, ma crescendo avevo cominciato ad odiare quella maledetta pioggia che mi aveva resa orfana e diversa dal resto dei miei coetanei. Ora invece la sentivo vicina, come un elemento confortante, necessario per far tornare in me la pace. Mi resi conto che in tutti quegli anni avevo detestato una creazione meravigliosa, piena di segreti e misteri. Non mi ero mai seduta a riflettere su questo, non mi ero mai presa il tempo di ascoltare la pioggia cadere; cominciai a vedere la pioggia sotto una luce diversa: non volevo più affrontarla, ma affiancarla. Chiusi gli occhi e mi lasciai andare alle emozioni: mi immaginavo sola, in mezzo ad una tempesta, la pioggia cadeva ovunque e io, allargando le braccia, come se volessi abbracciare quell'immensità, quella potente forza della natura, guardavo il cielo, lasciando che la pioggia scivolasse sulle mie guance. Immaginai la pioggia come una persona: quel modo di cadere, quei sentimenti che voleva farmi provare, che mai avevo provato, era il suo modo per chiedermi scusa. La Pioggia era diventata reale: lei ora piangeva con me e improvvisamente non mi sentivo più sola; c'era lei con me, a farmi capire che una famiglia l'avevo ancora, a farmi vedere tutto l'amore che si spalancava davanti ai miei occhi chiusi. Piangevamo assieme, io e la Pioggia, quella stessa Pioggia che fino a cinque minuti prima era mia nemica ora mi consolava, mi ristorava, mi sussurrava parole di conforto. Più mi concentravo su di lei, più sentivo e distinguevo quelle frasi comprensibili solo a me. Io e la Pioggia avevamo molto in comune: anche lei aveva visto molto dolore, aveva vissuto le sofferenze degli altri, ma lei non veniva mai confortata. Come me era solo in cerca di qualcuno che l'ascoltasse davvero.
Riaprii gli occhi, mi vestii e scesi in strada: mi sedetti sul marciapiede e lì rimasi per due ore ad ascoltare le gocce di pioggia che cadevano: ogni goccia aveva la sua storia, il suo segreto, la sua sofferenza da raccontare. Ognuna diversa, come le storie di ciascun essere umano: alcune felici, altre tristi. Mi sentivo parte di quella realtà: avevo sofferto tanto in silenzio e adesso che ero scoppiata, pensavo di essere l'unica persona a soffrire. La Pioggia mi aveva riportata alla vita reale: mi aveva consolata, mi aveva fatta sentire a casa, in un posto che non sentivo mio, ma mi aveva anche fatto capire che tutti soffrono, che non è giusto soffermarsi solo su se stessi, mi stava insegnando un sentimento mai provato: l'altruismo; in realtà non era propriamente un sentimento, ma la Pioggia attraverso le sue mille storie, aveva instillato in me il desiderio di dedicarmi di più agli altri. Solo dopo due ore che ero assorta in questi pensieri, che pensavo alla Pioggia, a quello che mi stava insegnando, mi accorsi che le gocce diminuivano, si facevano sempre più piccole e rare. Io stavo smettendo di piangere e la Pioggia avrebbe smesso con me: il suo compito era finito; era riuscita a fasi perdonare, a diventare mia amica, a insegnarmi delle lezioni importanti e a farmi emozionare come mai mi era successo. Le ultime lacrime che versai, non erano più come le prime, piene di rabbia e rancore, ma piene di gioia e di speranza; erano lacrime di felicità, perchè quella natura, quella Pioggia che tanto avevo odiato, attraverso il suo scorrere mi aveva insegnato a vivere.......