Avrei dato la mia anima, avrei dato il mio cuore per quel bambino seduto sulla spiaggia. Se ne stava lì tutte le sere, a sognare chissà quale futuro per se stesso e la sua famiglia assente, mentre le lacrime gli imperlavano il viso. Teneva le gambe piegate, avvolte tra le braccia; stava rannicchiato così a lungo, con i pantaloni appesantiti dall’acqua e fatti a brandelli dal tempo, come quelli di ogni altro bambino che viveva in quel ghetto eterno, dove la gente era vittima del pregiudizio e della crudeltà che solo l’uomo sa mostrare. E il bambino immaginava il sole tramontare nel mare. Cercava di vedere nella sua testa le descrizioni che sua madre gli aveva fatto del mare, del sole, del rosso del cielo. E si chiedeva se quello che vedeva lui, con gli occhi della mente, fosse lo stesso di quello che vedevano gli altri, ma sapeva che la risposta era no: non conosceva i colori e non c’era modo di immaginarli. Era diventato cieco pochi giorni dopo la nascita e nessuno era mai stato in grado di descrivergli una tinta, una sfumatura. Ed era in questi momenti che parlava a se stesso come se fosse stato un’altra persona. “Ti sei mai sentito ferito o abbandonato, come se tu non appartenessi a questo posto, come se questa non fosse casa tua, come se la vita si stesse divertendo a prenderti in giro? Hai mai provato la sensazione di essere emarginato, di sentirti diverso, incompleto?”, domandava alla sua anima e ascoltava la risposta che gli veniva dal mare e dal vento; dalle gocce salate che cadevano sulle sue mani, dalle lacrime che scendevano sulle sue guance. Si lasciava abbracciare completamente dalle voci che udiva attorno a lui, voci di persone, di animali, di cose. Si lasciava coprire dai suoni e chiudeva i piccoli occhi bianchi, cercando di dipingere un quadro di tutto ciò che lo circondava semplicemente ascoltando i rumori che produceva. E in cuor suo pregava che qualcuno lo aiutasse a sconfiggere la bestia che giaceva in lui, soffocandolo, aggredendolo con i suoi artigli, costringendolo a sentirsi inferiore; supplicava che qualcuno scacciasse quella bestia che si era impossessata di lui, ancora così piccolo, che si nutriva di lui, lasciandogli ferite indelebili, come quelle che lo avevano reso cieco e che ora brillavano sul suo viso nella luce della luna come piccoli fili di diamante. E si domandava, lì, di fronte alla distesa del mare, se ci sarebbe mai stato qualcuno che avrebbe fatto promesse per lui, giuramenti davanti alla luna, senza mai rinnegare le parole dette. Si chiedeva, quel bambino seduto sulla spiaggia, se davvero era così difficile ricominciare tutto dall’inizio, ora che era così vicino a capire la sua vita.