Maria,
un nome comune,
un volto qualunque,
una vita vissuta nell'ombra,
dietro ad una maschera di ghiaccio,
scolpita dal tempo,
trasportata con dolore.
Maria,
una donna fragile, orgogliosa,
condannata ad allevare da sola tre figli,
condannata a togliersi la maschera,
nel buio della notte,
quando ritrovava se stessa
davanti ad un quaderno sgualcito,
davanti a cui, forse, ritrovava il sorriso.
Scriveva del suo grande amore,
della sua vita nascosta,
della sua maledetta prigione.
Sbarre di spine,
rinchiudevano il suo amore,
lacrime sommesse lo tenevano vivo.
Maria,
Ti ho conosciuta morente,
senza maschera, senza sbarre,
nuda della tua fragilità,
spogliata del tuo falso orgoglio.
Ho sentito i tuoi baci tremanti,
sulle mie guance, sapevi di morire ma,
non sapevi che a morire
era solo il tuo corpo, la tua solitudine.
Madre, i fiori recisi sulla tua tomba,
attingeranno la vita dal mio cuore,
dalle mie lacrime,
per aver potuto conoscerti,
per averti potuta vivere,
anche se, per un breve attimo.