Pensieri per Anna
Anna, figlia mia.
Te ne sei andata sbattendo forte la porta, con tutta la rabbia e tutta la passione che si provano ancora alla tua età.
Nei miei occhi qualche lacrima, ma anche, sulle labbra, un sorriso leggero, perché sono vecchia e lo so già che tutte le tempeste trovano un porto dove acquietarsi, prima o poi. Ho imparato che tutti i giorni il sole nasce e tramonta e che l'anima non muta mai completamente nei suoi slanci d'amore o di odio. Questa è la consapevolezza della maturità, è il compromesso con la battaglia del vivere, è l'accettare gli eventi con quel senso di ineluttabilità che a te, ora, sembra mancanza di forza e, forse, lo è anche un po', ma è ciò che ti permette di andare avanti, perché guardi l'orizzonte e non solo in basso, lungo il percorso che stai compiendo...
Mi sovviene di quando sei nata, Anna.
«Mammà, presto! Chiamate la levatrice... si sono rotte le acque...». Così dissi a mia suocera quella mattina. Eravamo nel dopoguerra, vivevamo a casa della famiglia di tuo padre: non potevamo permetterci di pagare un affitto. E tu ci sei nata in quella casa, fra il cicaleccio delle donne di famiglia, le pentole di acqua bollita sulla cucina a legna, il sudore della levatrice e tutti gli uomini radunati nella "sala", di là, a fumare, in attesa dell'evento.
«È nata! È nata Anna! È sana, tutto bene...!»
E gli occhi di nonno Pino che luccicavano un po'.
«A casa dei galantuomini prima le femmine e poi gli uomini!», disse così, ma forse gli dispiaceva un poco che non fosse nato, invece, Giuseppe, il "suo nome".
Adesso mi siedo qui. Sono stanca
C'erano pochi soldi allora, ma erano grandi, dentro di me, l'amore e la forza. E la passione! Quante volte ho sbattuto la porta anch'io, con mia suocera, con mio padre, con tutto il mondo, pronta alla sfida. E loro mi guardavano, scuotevano la testa e borbottavano tra i denti.
Penso che il cuore non funzioni più come una volta: lo sento che arranca, poi corre, poi zoppica, poi corre di nuovo, però continua a camminare, chissà quando è destinato a smettere.
Lo so, lo so: ai giovani non viene in mente la morte. Ma per me è una compagna che comincia a fare capolino tra i pensieri: la strada si accorcia e mi fa paura l'idea che possa comparire inaspettata. Così la corteggio un po', la spio, la blandisco, tento di farmela amica, come se potessi dominarla, in questo modo, contrattare con lei.
Quando mi guardo attorno, Anna, penso che questa casa è troppo piena. Piena di mobili, di oggetti, di ricordi. A volte mi soffocano, ma non riesco a disfarmene, mi sembrerebbe di buttare via dei pezzetti di me stessa. Come invidio i viaggiatori! Quelli "dal bagaglio leggero", gente con uno spirito capace di sperare e di adattarsi, curiosa e vivace, libera dalla zavorra del passato.
È quasi buio, ormai.
Ti prego, non far tramontare il sole senza tornare da me, Anna. Aspetto ansiosa il tuo passo sul pianerottolo e il rumore della chiave e quel tuo chiamare «Mamma?» con l'urgenza nella voce e le tue braccia al collo, così calde e sicure e i baci sulla fronte e «Non te la sei presa mica, eh?! Lo sai come sono. Però ho anche ragione da vendere!». E io che faccio «sì, sì» con la testa e ti tengo per mano e sento il tuo profumo che sa di buono e quel calore dolce e forte dentro di me, come quando eri piccina e ti stringevo così, figlia mia.