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Eroi
…di una intera questa è una piccola storia di tutti i giorni, dove gli eroi osannati dalla storia diventano fiabe scritte sui libri di scuola o sui fumetti che vengono venduti in edicola agli angoli di una qualsiasi strada.
Come tutte le estati della mia giovinezza, appena finita la scuola io venivo “imbarcato” in qualche colonia montana, vuoi per lasciare ai miei genitori un attimo di intimità, vuoi perché la mia costituzione a quel tempo gracile ne aveva bisogno. La stessa sorte capitava ai miei fratelli, sorte benevola intendiamoci e nel mio caso necessaria, che comunque permetteva a entrambe le parti di godere una pausa dalla convivenza coatta in un ambiente ristretto. In quei luoghi io sfogavo tutta la mia vivacità anche perché gracile non vuole dire a tutti i costi debosciato.
Erano bei tempi, dove la spensieratezza dava luce alla mia costrizione mentale fra quattro mura cosa che per me era insopportabile. Vi era da rispettare alcune leggi di comunità ma si sa i salesiani con i ragazzi, specie in vacanza sono sempre stati di “manica larga”, sovente quando ci portavano in interminabili passeggiate o piccole ascensioni si sollevavano la tonaca che a quel tempo era ancora in uso chiusa da una fila interminabile di bottoncini sul davanti, se la legavano in vita e quindi giù a correre per sentieri o in mezzo ai boschi, giocando a rimpiattino fra i grandi cespugli di castagno o per le discese sassose di qualche pietraia. La casa, la mia casa non esisteva più e la natura mi regalava finalmente la realtà dei sogni dei lunghi mesi scolastici. Questa cosa fra l’altro non l’ho mai capita. Nella mia giovinezza i libri di scuola quasi li odiavo e oggi viceversa li scorro piacevolmente, forse il tipo di insegnamento o forse la mia incapacità di concentrazione, ma guarda caso tutto ciò che la natura mi offriva di osservazione io la imparavo subito e mi creava curiosità. Mi ricordo a tale proposito un giorno, facendo una passeggiata in un bosco della valle mi soffermai a guardare una cava dall’altra parte del versante, e notai un fabbro che lavorava un ferro sull’incudine, quando batteva con il martello su di esso non produceva subito il suono del colpo ma giungeva dopo qualche tempo. Rimasi affascinato dal fenomeno e automaticamente contai con le dita quanto tempo impiegava il suono a giungere fino a me. Chiesi allora all’accompagnatore il perché di quel fatto e lui mi spiegò in modo non proprio scientifico che il suono impiegava un certo tempo a percorrere quello spazio e quindi ecco spiegato quel fenomeno,seppi poi che la larghezza della valle in quel punto era poco più larga di un chilometro. Spiegata sui banchi di scuola la cosa mi sarebbe stata del tutto indifferente,avrei invece pensato che mancava ancora mezzora all’uscita dall’aula dove mi trovavo costretto. Vivevo ancora nel mondo dei sogni e purtroppo non potevo farci niente,non ne volevo uscire e questo era un fatto.
Quei pochi momenti di liberazione avevano però un fine e giungeva il tempo del ritorno in città. Si raccoglievano quelle poche cose, facendo attenzione a piegarle bene, tutte in ordine perché alla mamma faceva piacere che fossi ordinato e poi si saliva tutti insieme sul pulman per il ritorno a casa.
Ora, dovete sapere che la pianura Padana ha un ciclo stagionale di tipo continentale,dove le stagioni esprimono in senso positivo e negativo il massimo delle alternanze metereologiche, freddo intenso in inverno e caldo atroce d’estate, almeno questo a quei tempi accadeva, oggi si stenta a capire quando si alternano le stagioni, forse perché siamo in troppi. Tornai mestamente alla magione, solita interminabile scala, solita porta, campanello e quindi entrai, posai la valigia nella mia cameretta e andai in cucina dove i miei genitori attendevano il racconto delle avventure passate, dato che già sapevano cosa sapevo combinare in regime di libertà. Entrai e strano a dirsi nella mia sventatezza fui colpito nel cervello da una strana sensazione. Avevo sì notato che all’esterno, quando ero entrato in città, vi era presente un’atmosfera pesante, l’aria e il cielo avevano una colorazione marroncino, una spessa caligine ribollita ricopriva le cose, ma io non ci avevo fatto troppo caso, ora invece la situazione mi si presentava in tutta la sua sofferenza. I “miei” erano dall’altra parte del tavolo, la penombra insisteva nella cucina a causa di quella luce rossastra all’esterno, li guardai e mi accorsi della fatica stampata su quei due volti sudati e dagli occhi stanchi. Realizzai in un attimo la situazione e ancora oggi ripensandoci vidi degli eroi, a cui nessuno avrebbe battuto le mani ne incensato le figure, eroi di una battaglia che durava una vita, chini ogni giorno sotto al peso delle preoccupazioni quotidiane, sempre, costantemente e comunque pronti a gioire delle nostre piccole avventure, a vederci crescere sani, unica e sola soddisfazione delle loro fatiche. Quale eroe omerico avrebbe fatto il cambio di situazione, penso nessuno, meglio morire in un attimo nel clamore della battaglia e nell’illusione della gloria che sopportare per una esistenza le avverse fortune della vita.